Una sopravvenuta sentenza della Corte di Giustizia UE non consente la revocazione di un giudicato amministrativo

Consiglio di Stato, sentenza n. 9308 del 19 novembre 2024

Il Collegio non ritiene che la disposizione di cui all’art.391 quater c.p.c. possa consentire la revocazione anche di un giudicato amministrativo che sia in contrasto con una sentenza della Corte di giustizia U.E.; per questa parte della prospettazione, invero, non vi è spazio per un’applicazione analogica della relativa disposizione.
In primo luogo il dato letterale della disposizione contenuta nel codice di procedura civile esclude in radice la possibilità di estendere la sua applicazione a un caso diverso e non contemplato e poi di esportare tale estensione nel processo amministrativo, trattandosi di una operazione manipolativa del testo della legge del tutto diversa da quella in precedenza esposta che non è consentita al giudice.
Non vi è, quindi, spazio per la chiesta applicazione analogica dell’art.391 quater c.p.c. perché introdurrebbe – indebitamente, in sede interpretativa (rectius: creativa) –una nuova ipotesi di revocazione, suscettibile di incidere sulla stabilità del giudicato, ossia su di un valore portante del nostro ordinamento, forzando la volontà del legislatore, che ha espressamente confinato l’applicazione di questa misura al solo contrasto di una sentenza definitiva con una decisione sopravvenuta della Corte EDU.


Deve quindi essere valutato se, in questo caso, la mancata previsione del rimedio della revocazione possa comportare un dubbio di costituzionalità o di compatibilità con il diritto dell’Unione europea.
Nella presente fattispecie, tuttavia, non vengono in rilievo tali principi affermati dalla Corte di Giustizia, poiché le conversazioni via chat – come appena detto – sono state acquisite dall’Autorità giudiziaria non con una richiesta di acquisizione dei dati conservati, rivolta agli operatori telefonici, bensì a seguito del sequestro dell’apparecchio telefonico di soggetto indagato.
Ciò peraltro è stato oggetto di una espressa statuizione della sentenza di cui si chiede la revocazione (punto 13) con riferimento a precedenti sentenze della Corte di Giustizia che avevano affermato principi analoghi a quelli della invocata sopravvenuta decisione del 2023.
La non rilevanza nel presente giudizio del principio affermato dalla citata sentenza della Corte di Giustizia del 2023 costituisce dunque ragione autonoma e autosufficiente per escludere la necessità di procedere al rinvio pregiudiziale o di sollevare questione di costituzionalità.
L’art. 391 quater c.p.c. richiede che il contenuto della decisione passata in giudicato sia stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e quindi si tratta di una fattispecie del tutto diversa, e non equivalente a quella in cui si invoca una sopravvenuta sentenza della Corte di Giustizia, non attinente allo specifico giudicato, per chiedere la revocazione.
Non sussistono, quindi, i presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, trattandosi proprio di una di quelle fattispecie in cui – sulla base della giurisprudenza Cilfit – il precedente risolve il punto di diritto controverso (e il contesto eventualmente nuovo non sollevi alcun dubbio reale circa la possibilità di applicare tale giurisprudenza) e la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con evidenza tale da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata, anche in considerazione di quanto evidenziato in precedenza sulla rilevanza, che – si ripete – assume carattere dirimente in quanto la sopravvenuta sentenza della Corte di giustizia, invocata da parte ricorrente, non si pone in contrasto con la decisione di cui è chiesta la revocazione, essendo differente l’oggetto e l’ambito di applicazione delle due pronunce, come sopra sottolineato.
In definitiva il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile per le ragioni in precedenza indicate.

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