L’obbligo di riversare il compenso percepito per le prestazioni svolte senza autorizzazione si riferisce alle sole situazioni di incompatibilità relativa (incarichi in astratto autorizzabili, ma in concreto svolti in assenza di autorizzazione)

Corte dei Conti, Sezioni Riunite, sentenza n. 1 del 22 gennaio 2025

Il Procuratore generale ha deferito a queste Sezioni riunite la seguente questione di massima, dando soluzione al seguente quesito di diritto:
“se l’obbligo del dipendente pubblico di riversare i compensi percepiti per gli incarichi extra-istituzionali ex 53, comma 7 e 7-bis del d.lgs. n. 165/2001 si riferisca sia alle situazioni di incompatibilità assoluta (incarichi in radice non autorizzabili) che alle situazioni di incompatibilità relativa (incarichi in astratto autorizzabili, ma nel concreto svolti in assenza di autorizzazione), ovvero sia limitato a queste ultime
”.
Dall’esame della normativa sostanziale in tema di incompatibilità e di cumulo di impieghi e incarichi, l’atto di deferimento ha individuato tre possibili situazioni, per i casi di:

  • incompatibilità assoluta (attività in alcun modo autorizzabili) ex art. 53, co. 1, d.lgs. n. 165/2001;
  • incompatibilità relativa (attività esercitabili previa autorizzazione, ex art. 53, co. 7, d.lgs. n. 165/2001, e, per quanto concerne i professori universitari, ex art. 6, co. 10, l. n. 240/2010);
  • assenza di situazioni di incompatibilità (attività liberamente esercitabili, soggette a mera comunicazione, ex art. 53, co. 6, d.lgs. n. 165/2001).

L’atto di deferimento rileva che “è in atto un conflitto giurisprudenziale diffuso tra le Sezioni Giurisdizionali regionali in ordine ai criteri di quantificazione del danno nelle ipotesi di incompatibilità assoluta, le cui pronunce, una volta impugnate, hanno dato luogo a disomogenee sentenze delle Sezioni centrali di appello”.
Secondo un primo orientamento, ritenuto “di gran lunga prevalente”, la disciplina contenuta nell’art. 53 d.lgs. n. 165/2001 si applicherebbe sia alle situazioni di incompatibilità assoluta (in caso di attività non autorizzabili), che a quelle di incompatibilità relativa (in caso di attività autorizzabili svolte in assenza di autorizzazione), in continuità con la sent. n. 26/2019/QM/PROC, con la quale le Sezioni riunite della Corte dei conti – nel dirimere il contrasto pronunciandosi sulla natura risarcitoria (anziché sanzionatoria) della fattispecie tipizzata relativa all’omesso versamento del compenso all’amministrazione di appartenenza configurante un danno da mancata entrata – hanno ritenuto che il quesito proposto riguardasse lo svolgimento, da parte del pubblico dipendente, di “incarichi extraistituzionali non autorizzati o non autorizzabili”.
Seguendo questa impostazione, l’entità del danno da omesso versamento sarebbe quantitativamente predeterminata dal legislatore, proprio nella misura del compenso ricevuto e riguarderebbe entrambe le fattispecie (Cass., SSUU, ord. n. 4852/2021).

L’orientamento contrario alla generalizzata applicazione del modello di cui all’art. 53, co. 7, del d.lgs. n. 165/2001 alle situazioni di incompatibilità assoluta e a quelle di incompatibilità relativa sottolinea l’autonoma rilevanza delle situazioni di incompatibilità assoluta, per le quali il legislatore (art. 63 del d.P.R. n. 3/1957) ha previsto altra e ben più grave sanzione ovvero la destituzione dall’impiego. Secondo questa impostazione, il danno deriverebbe dalla “violazione del sinallagma contrattuale” del dipendente che ha agito in violazione del principio di esclusività del rapporto di lavoro per avere l’Amministrazione corrisposto invano al dipendente il trattamento stipendiale. La determinazione del danno andrebbe in questi casi definita in via equitativa.


Al quesito di cui all’atto di deferimento del Procuratore generale queste Sezioni riunite danno, in conseguenza alle argomentazioni esposte, la seguente soluzione:
L’obbligo del dipendente pubblico di riversare il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte, ex 53, comma 7 e 7-bis del d.lgs. n. 165/2001, si riferisce alle sole situazioni di incompatibilità relativa (incarichi in astratto autorizzabili, ma in concreto svolti in assenza di autorizzazione), ferma restando la risarcibilità delle conseguenze patrimoniali negative per l’erario derivanti dalla violazione del dovere di esclusiva posta in essere con attività radicalmente incompatibili e non autorizzabili”.
Nei casi di incompatibilità assoluta (incarichi vietati e non autorizzabili), per i quali il legislatore pone un divieto assoluto e prevede altre e ben più gravi sanzioni, il compenso non è in radice dovuto e la prova del danno, riferibile alla violazione del dovere di esclusività e alla indebita percezione di emolumenti, può essere raggiunta anche avvalendosi di indici presuntivi gravi, precisi e concordanti desumibili dalle risultanze in atti.

Va, quindi, sgombrato il campo, innanzitutto, dalle possibili perplessità in ordine alla discriminazione che potrebbe derivare dalla non applicazione della disciplina del riversamento anche alle situazioni di incompatibilità assoluta, in quanto riferite ad incarichi non autorizzabili, trattandosi di fattispecie decisamente diverse e come tali meritevoli di precipua disciplina. Inoltre, la particolare gravosità delle misure che possono essere disposte in seguito al giudizio di responsabilità (restituzione degli emolumenti percepiti per l’attività esclusiva, ivi compresa l’indennità ad essa collegata), nonché di quelle decise in sede disciplinare, escludono che si possa parlare di una situazione di maggiore favore, sotto il profilo economico.
Nemmeno, si pone, ad avviso del Collegio, come elemento di rilievo una maggiore difficoltà di realizzare un idoneo asse probatorio, sia perché essa non può costituire un elemento giuridicamente apprezzabile, sia per quanto si è detto in ordine alla presunzione, senza contare un elemento assolutamente pragmatico, quello della percezione del compenso per gli incarichi in discorso, la quale deve comunque essere acclarata e nel caso di non autorizzabilità dei medesimi, costituisce di per sé, una prova del mancato adempimento dell’obbligo di esclusività.

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