Truffa con bonus edilizi: condanna a 9 milioni di euro da parte della Corte dei Conti

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna, sentenza n. 4 del 3 febbraio 2025

Secondo la ricostruzione dei militari della Guardia di Finanza questi erano i tratti salienti della truffa:

  • l’artificiosa creazione, da parte di X, nella qualità di amministratore e legale rappresentante p.t. di A S.r.l. e di Y, amministratore di fatto della medesima società, in capo alla predetta A S.r.l., di crediti di imposta del valore complessivo di euro 6.825.000 per il bonus locazioni, di cui all’art. 28 del decreto-legge n. 34 del 2020, cd. Decreto rilancio, in realtà non spettanti e del tutto insussistenti;
  • la successiva cessione di tali insussistenti crediti da A S.r.l., primo cedente, mercè l’operato del suo amministratore di diritto X e dell’amministratore di fatto, Y, a B S.r.l., primo cessionario, formalmente amministrata e rappresentata da Z, ma di fatto amministrata anch’essa da X e Y;
  • la contestuale immissione, da parte delle medesime società e delle persone fisiche per esse operanti, cioè da parte di X, Y e Z, dei falsi crediti di imposta all’interno dell’apposito sistema telematico di circolazione istituito dall’Agenzia delle Entrate per la cessione degli stessi a ulteriori terzi cessionari, denominato Piattaforma Cessione Crediti.

Tali operazioni venivano realizzate da X e Y impiegando le credenziali di accesso alla Piattaforma Cessione Crediti di A S.r.l. e di B S.r.l.: queste ultime messe a loro disposizione da Z.

L’attività illecita in discorso si realizzava, infatti, mediante l’inserimento, la comunicazione e l’accettazione, da parte di A S.r.l. e di B S.r.l., di informazioni e dati falsi all’interno dell’applicativo informatico denominato Piattaforma Cessione Crediti, reso disponibile agli interessati da Agenzia delle Entrate, a opera di X e di Y, amministratori di diritto e di fatto di A S.r.l.; all’illecito concorreva anche Z che metteva a disposizione dei primi due, per consentire di realizzare la frode, le credenziali di accesso al medesimo applicativo di B di cui era amministratore di diritto.

Va innanzitutto scrutinata, anche perché rilevabile di ufficio, la giurisdizione di questa Corte, ampiamente illustrata nell’atto introduttivo del giudizio.

Invero, come evidenziato dalla Procura la giurisdizione deriva dalla natura di provvidenza economica per fronteggiare l’emergenza covid – 19 , e dalla cedibilità del credito, sicché il beneficiario del contributo si atteggia a pubblica amministrazione.

Innanzitutto, il disposto dell’art. 28 del decreto evidenzia l’abbandono degli interessi esclusivamente privatistici per incidere direttamente (e negativamente) sulla sfera delle politiche economiche perseguite dallo Stato.

Come noto, le pubbliche amministrazioni assai frequentemente perseguono i propri obiettivi e realizzano i propri programmi riconoscendo o attribuendo a soggetti privati agevolazioni o ausili finanziari di vario tipo, accomunati dall’essere finalizzati al conseguimento di specifiche finalità pubbliche. In questo frastagliato quadro ordinamentale lo Stato di frequente impiega lo strumento del credito di imposta, riconoscendo agli interessati che si trovino in determinate situazioni soggettive, o che realizzino determinate condizioni, una situazione soggettiva attiva, di natura creditoria, nei confronti di sé medesimo.

In altri termini, quando il soggetto destinatario di risorse pubbliche concorre alla realizzazione del programma della pubblica amministrazione tra questa e il primo si instaura un rapporto di servizio, sicché il beneficiario assume, ai fini della giurisdizione della Corte dei conti, la stessa posizione propria di un dipendente o amministratore della pubblica amministrazione.

E’ stata provata la formalizzazione e la validazione del credito di imposta sulla Piattaforma Cessione Crediti dell’Agenzia delle Entrate, mediante la prima cessione da A S.r.l, alla compiacente B S.r.l, all’esito della quale il credito d’imposta, del valore nominale di euro 6.825.000, ancorché fittizio, veniva regolarmente ad essere inserito nel circuito di negoziazione.

Tutti i convenuti sfruttavano, infatti, l’attestazione di avvenuta cessione, rilasciata dalla piattaforma informatica, ai fini della successiva commercializzazione del falso credito di imposta, che veniva evidentemente agevolata dall’affidamento, in tal modo ingenerato in capo ai successivi cessionari, in ordine alla legalità dell’operazione; la prima cessione costituiva, dunque, il momento fondamentale per la realizzazione dell’intento fraudolento, foriero dell’ingente pregiudizio erariale in contestazione.

Passando al danno, la Procura ha articolato due distinte voci.

  • Il danno patrimoniale, consistito nella somma corrispondente ai falsi crediti;
  • e il danno all’immagine, limitando la richiesta solo nei confronti della X, per la quale vi è sentenza di patteggiamento passata in giudicato, e riservandosi di azionarlo per gli altri convenuti per i quali pende processo penale.

La sezione giurisdizionale della Corte dei Conti quindi ha condannato:

a) la società A S.r.l., la società B S.r.l., X, Y e Z, in solido tra loro, a pagare in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, a titolo di risarcimento del danno erariale, euro 6.825.000 (seimilioniottocentoventicinquemila/00).

b) condanna X a pagare in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, a titolo di risarcimento del danno all’immagine, euro 2.047.500 (duemilioniquarantasettemilacinquecento/00) 

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