TAR Marche, ordinanza n. 105 del 15 febbraio 2025
Si deve dunque convenire con il ricorrente sul fatto che nella specie la Corte ha adottato una c.d. sentenza monito, ossia ha accertato l’incostituzionalità delle norme di legge sottoposte al suo giudizio, ma non l’ha dichiarata formalmente sul presupposto che la riforma organica della materia compete solo al legislatore, venendo in rilievo vari interessi di rango costituzionale la cui ottimale composizione implica delicate valutazioni di ordine politico, relative anzitutto al procacciamento della provvista finanziaria necessaria per ricondurre il sistema alla legittimità costituzionale.
Ovviamente le c.d. sentenze monito, in assenza di una specifica disposizione costituzionale che ne disegni la relativa disciplina, da un lato non vincolano il legislatore (non esiste infatti uno strumento tecnico in forza del quale si possa obbligare il legislatore ad adeguarsi ad una pronuncia della Corte), dall’altro lato pongono due questioni preliminari, relative, rispettivamente, all’accertamento della “inottemperanza” e al termine entro il quale il legislatore avrebbe dovuto adeguarsi.
Quanto al primo profilo, e ribadito che le norme applicate nella specie dall’I.N.P.S. non risultano ad oggi modificate, va osservato che nella sentenza n. 130 del 2023 la Corte Costituzionale ha già evidenziato che le misure finalizzate a consentire all’ex dipendente di chiedere anticipazioni del T.F.S. o finanziamenti bancari previa cessione pro solvendo del credito non sono risolutive perché “…non apportano alcuna modifica alle norme in scrutinio, ma si limitano a riconoscere all’avente diritto la facoltà di evitare la percezione differita dell’indennità accedendo però al finanziamento oneroso delle stesse somme dovutegli a tale titolo…”.
Il Tribunale ritiene dunque che vi siano fondati argomenti per sostenere che allo stato il legislatore non si è oggettivamente adeguato alle sentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023 (mentre in questa sede non sono valutabili eventuali ragioni che giustifichino tale inerzia).
Quanto al secondo profilo, per un verso è del tutto ovvio che non si può pretendere un adeguamento immediato da parte del legislatore (stanti anche i tempi tecnici necessari per l’approvazione di una proposta di legge), per altro verso è altrettanto ovvio che le decisioni della Corte, per non tradursi di fatto in grida di manzoniana memoria, debbono essere ottemperate in un tempo ragionevole, che però non può essere stabilito dal giudice di merito, ma solo dal Giudice delle leggi.
Va dunque sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, del D.L. n. 79/1997, convertito nella L. n. 140/1997, e s.m.i., e 12, comma 7, del D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella L. n. 122/2010, e s.m.i., per il profilo relativo all’omesso adeguamento delle norme medesime alle sentenze della Corte Costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023, visto che l’inerzia del legislatore reitera la lesione sostanziale del diritto del dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di età alla percezione di una retribuzione (in questo caso differita) sufficiente e proporzionata all’attività lavorativa svolta dall’interessato (art. 36 Cost.). La lesione sostanziale discende dalla dilazione temporale e dalla rateizzazione del pagamento della somma dovuta, non accompagnate da un meccanismo di adeguamento degli importi pagati all’andamento dell’inflazione.