I commenti (anche offensivi) scambiati nella chat di whatsapp non possono essere causa di licenziamento

Corte di Cassazione, sentenza n. 5936 del 6 marzo 2025

Nella sentenza n. 170 del 2023 la Corte cost. ha richiamato il dibattito, anche giurisprudenziale, sui limiti temporali finali della tutela assicurata dall’art. 15 Cost. ed ha concluso che tale disposizione garantisce alla generalità dei cittadini, così come l’art. 68 Cost. ai membri del Parlamento, la libertà e la segretezza della corrispondenza «anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo, essa non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all’interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento “storico”»; ciò sempre in accordo con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sopra citata) che ha ricondotto alla nozione di «corrispondenza» tutelata dall’art. 8 CEDU anche i messaggi informatico-telematici nella loro dimensione “statica”, ossia già avvenuti (in tal senso v. anche Cass. pen., n. 25549 del 2024).

Nel precedente di questa Corte n. 21965 del 2018, si è affermato che, in tema di licenziamento disciplinare, i messaggi scambiati in una chat privata, seppure contenenti commenti offensivi nei confronti della società datrice di lavoro, non costituiscono giusta causa di recesso poiché, essendo diretti unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo e non ad una moltitudine indistinta di persone, vanno considerati come la corrispondenza privata, chiusa e inviolabile, e sono inidonei a realizzare una condotta diffamatoria in quanto, ove la comunicazione con più persone avvenga in un ambito riservato, non solo vi è un interesse contrario alla divulgazione, anche colposa, dei fatti e delle notizie ma si impone l’esigenza di tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni stesse. Si è quindi escluso il carattere illecito – da un punto di vista oggettivo e soggettivo – della condotta contestata al dipendente in quanto riconducibile alla libertà, costituzionalmente garantita, di comunicare riservatamente.

All’interno della cornice costituzionale del diritto alla libertà e segretezza della corrispondenza, occorre ora esaminare la fattispecie oggetto di causa partendo dai dati pacifici, come accertati dalla Corte d’appello, e concernenti: l’esistenza di una chat WathsApp denominata “Amici di lavoro” , cui partecipavano complessivamente 14 dipendenti, tra i quali l’attuale intimato, l’invio di un messaggio, da parte di quest’ultimo, contenente frasi offensive nei confronti di un superiore gerarchico, la successiva diffusione di tali messaggi a soggetti esterni alla chat, quale il datore di lavoro.

È indubbio che la condotta contestata in via disciplinare al C. rientri nel raggio di protezione dell’art. 15 Cost., atteso che il messaggio è stato inviato a persone determinate, facenti parte della chat ristretta di taluni colleghi di lavoro, e le caratteristiche tecniche del mezzo di comunicazione adoperato, WathsApp, riflettono in modo inequivoco la volontà della mittente di escludere terzi dalla conoscenza del messaggio e soddisfano il requisito di segretezza della corrispondenza.

È altrettanto pacifico, in fatto, che la violazione della segretezza della comunicazione, attraverso la rivelazione del contenuto al datore di lavoro, è avvenuta ad opera, non di terzi estranei alla, bensì ad opera di uno dei suoi partecipanti, quindi compreso tra i destinatari del messaggio per cui è causa.

La manifestazione del pensiero attuata attraverso le moderne vie di comunicazione elettronica, assimilabili, secondo le parole della Corte Costituzionale, a una lettera inserita in una busta chiusa, è stata considerata dal datore di lavoro come condotta riprovevole.

Da ciò discende che la garanzia della libertà e segretezza della corrispondenza privata e il diritto alla riservatezza nel rapporto di lavoro, presidi della dignità del lavoratore, impediscono di elevare a giusta causa di licenziamento il contenuto in sé delle comunicazioni private del lavoratore, trasmesse col telefono personale a persone determinate e con modalità significative dell’intento di mantenere segrete le stesse, a prescindere dal mezzo e dai modi con cui il datore di lavoro ne sia venuto a conoscenza.

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