La sezione della Toscana torna all’antico: anche per le attività assolutamente incompatibili vi è l’obbligo di riversamento dei compensi

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, sentenza n. 55 del 6 maggio 2025

Quanto alle conseguenze della violazione dell’obbligo di esclusiva, l’art. 53, comma 7, del d. lgs. n. 165/2001 dispone che, per il caso di incarichi autorizzabili e, quindi, di incompatibilità relativa, “salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato a cura dell’erogante o, in difetto, dal percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”. Secondo il successivo comma 7-bis “l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”.

La giurisprudenza in misura maggioritaria ha interpretato la disposizione nel senso dell’estensibilità dell’obbligo di riversamento e della conseguente responsabilità erariale per la sua violazione, quanto meno quale criterio di quantificazione del danno, anche con riguardo alle attività assolutamente incompatibili – quale, come visto, è quella in esame – non potendo l’ipotesi più grave di incompatibilità determinare un danno erariale di misura più lieve rispetto a quella meno grave (incompatibilità relativa).

Venendo al caso di specie, non vi è dubbio che l’attività professionale presso le società “X.”, svolta dalla prof. Y contestualmente all’attività scolastica rientri tra quelle non autorizzabili in quanto assolutamente incompatibile a norma delle leggi sopra citate, in quanto attività commerciale. La convenuta rivestiva, infatti, nella prima, la posizione di socio accomandatario, per ciò solo responsabile della gestione dell’impresa sociale (artt. 2315 e 2318 del c.c.), e, nella seconda, quella di socio di società in nome collettivo, con le medesime attribuzioni gestorie, come per legge (artt. 2257 e ss. e 2260 del c.c.) (cfr. Cass., sent. n. 30518/2022).

Per la quantificazione del danno intervenuto a partire dal 17 luglio 2020, data di entrata in vigore del d.l. n. 76/2020, e fino alla data del 7 febbraio 2022, di cessazione dell’attività gestionale delle società commerciali in cui la convenuta era coinvolta, ritiene il Collegio di utilizzare gli esiti della specifica istruttoria disposta con ordinanza n. 12/2024, con cui la Guardia di Finanza ha conteggiato in € 15.529,94 il reddito percepito dalla convenuta in tale periodo per l’attività vietata “non versato nel conto del bilancio dell’amministrazione di appartenenza” ai sensi dell’art. 53, comma 7, del d. lgs. n. 165/2001.

Tale reddito è stato calcolato al lordo in conformità al principio sancito con questione di massima della Corte dei conti n. 13/2021/SR/QM, per cui “in ipotesi di danno erariale conseguente all’ omesso versamento dei compensi di cui all’ art. 53, comma 7 e ss. del D. Lgs. n. 165/2001 da parte di pubblici dipendenti (o, comunque, di soggetti in rapporto di servizio con la P.A. tenuti ai medesimi obblighi), la quantificazione è da effettuare al lordo delle ritenute fiscali operate a titolo di acconto sugli importi dovuti o delle maggiori somme eventualmente pagate per la medesima causale sul reddito imponibile” (cfr. anche Sez. III Centr. n. 44/2022).

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