Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Marche, sentenza n. 104 del 28 maggio 2025

La X era dirigente in servizio presso il Comune, in regime d’impiego a tempo pieno. Nel 2013 l’assemblea dei soci della Y s.p.a. (società partecipata dal Comune) nominò gli amministratori e, tra di essi, su designazione del sindaco, la X come presidente del Consiglio di Amministrazione, con durata triennale, prevedendo per tale funzione la corresponsione di un compenso annuo lordo di € 12.500,00, oltre a rimborsi forfettari mensili di € 360,00; la X accettò di assumere l’incarico. Prima dell’accettazione né durante l’espletamento dell’incarico, la medesima chiese alcuna formale autorizzazione all’Amministrazione d’appartenenza.

Il Collegio ha considerato che l’incarico di presidente del Consiglio di Amministrazione della Y s.p.a. è stato conferito alla dirigente comunale X su espressa designazione del sindaco del Comune, Ente socio di tale società, e i relativi compensi quindi debbono ritenersi ricompresi nell’ambito del regime generale della onnicomprensività, dato che trattasi dell’espletamento, da parte della X, di un’attività comunque connessa o collegata al rapporto organico intercorrente con l’Amministrazione d’appartenenza.
Pertanto, sulla base di quanto espressamente disposto dall’art. 24, comma 3, del D.lgs. n. 165/2001, il Collegio giudicante ritiene che i compensi erogati dalla Y non avrebbero potuto essere incamerati personalmente dalla X, dovendo, invece, affluire nelle casse dell’Amministrazione d’appartenenza della medesima.

Da ciò è, dunque, derivato il danno patrimoniale da mancata entrata, tuttora attuale, subito dal Comune, danno, ammontante ad € 41.638,00, che risulta causalmente connesso al comportamento volontariamente tenuto dalla X, in violazione della normativa direttamente applicabile nei suoi confronti, quale dirigente comunale.