Forma scritta, retroattività e limiti di spesa dei contratti della PA (nella specie con le strutture accreditate): la posizione della Suprema Corte

Corte di Cassazione, sentenza n. 16221 del 17 giugno 2025

Una struttura sanitaria accreditata aveva chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo per prestazioni sanitarie rese nel 2018. Nel 2019, infatti, l’ASL stipulava il contratto relativo al 2018, ma facendo riferimento a limiti di spesa imposti a livello regionale, rifiutando il pagamento di circa euro 350.000.

La Suprema Corte ha affrontato il tema delle prestazioni rese in assenza di un contratto (perchè nel 2018 non era ancora stato stipulato), la legittimità o meno della retroattività dei contratti pubblici, la legittimità di limiti di spesa sopravvenuti all’anno di riferimento.

In particolare ha osservato che, trattandosi di contratti ‘imposti’ che rappresentano il risultato finale di un complesso procedimento, a formazione progressiva, il contratto conclusivo non può che essere stipulato all’esito della procedura. Ciò comporta che le prestazioni sanitarie siano rese ed eseguite ancor prima della stipulazione del contratto, che può avvenire anche in un periodo successivo – anche all’inizio dell’anno successivo come nel caso di specie -, ma con espressa previsione della retroattività degli effetti, in modo da coprire anche le prestazioni già rese

Anche il sopraggiungere della individuazione dei tetti di spesa, in epoca successiva, all’esito dei tavoli tecnici, si conforma alla natura prettamente procedimentale dell’attività negoziale della PA. Viene tracciato così un parallelismo tra la determinazione dei tetti di spesa, che si attua solo a seguito dell’espletamento dei tavoli tecnici, e la stipulazione del contratto con la PA, che è frutto di un procedimento complesso, caratterizzato da vincoli imposti ex lege, anche in ordine alla sussistenza stessa del contratto. 

Tra l’altro, il recente indirizzo giurisprudenziale amministrativo è nel senso che è legittimo un controllo (con rideterminazione del fatturato ammesso a remunerazione) effettuato anche in tempi non strettamente prossimi all’anno oggetto della disposta regressione, purché possa considerarsi esercitato in tempi ragionevoli (Cons. Stat, sez. VI, 4/6/2024, n. 5010; Cons. Stato, sez. III, 22/1/2016, n. 207; Cons. Stato, 16/1/2013, n. 248).

Del resto, le parti non hanno alcuna possibilità di incidere sul contenuto contrattuale, che viene stabilito con l’atto amministrativo di approvazione dello schema contrattuale, sicché, effettivamente, la sottoscrizione del contratto diventa un mero requisito di completamento della fattispecie a formazione progressiva prevista dal legislatore, al fine di porre a carico dell’erario il corrispettivo delle prestazioni sanitarie erogate dei centri accreditati. 

Per tale ragione, non si tratta di convalidare un contratto nullo, ma semplicemente di garantire che gli effetti del contratto stipulato successivamente (nella specie l’anno successivo alle prestazioni) retroagiscano, ammantando di legittimità anche le prestazioni eseguite prima della stipulazione. 

In tal senso, va richiamato il precedente di questa Corte (si trattava del contratto di locazione stipulato con il Ministero delle Finanze, quale conduttore), per cui non sussiste nell’ordinamento un divieto per le parti di un contratto di attribuire ad esso efficacia retroattiva in modo da regolamentare i rapporti di fatto tra loro esistenti. Pertanto, le parti che possono liberamente determinare il contenuto di un contratto tipico nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 cod. civ.) possono attribuire efficacia retroattiva ad un contratto di locazione da loro stipulato disponendo che il rapporto derivante da detto contratto vada considerato iniziato da una data anteriore alla sua conclusione. Nè tale possibilità di dare effetto retroattivo al contratto può ritenersi esclusa per essersi verificata la situazione illecita di mora prevista dall’art. 1591 cod. civ., non sussistendo nell’ordinamento il divieto per le parti di disciplinare contrattualmente gli effetti di un inadempimento e/o di considerare regolare una situazione di fatto non conforme a diritto (Cass., sez. 3, 7/12/2000, n. 15530; successivamente Cass., n. 27528 del 2021).

Nella specie, dunque, non rileva che le prestazioni siano state eseguite nell’anno 2018, mentre il contratto è stato stipulato solo in data 4/3/2019, trattandosi di uno scostamento temporale minimo e, dunque, ragionevole. Tale contratto, infatti, ha valore retroattivo, andando ad ammantare di legittimità anche le prestazioni eseguite nel periodo in cui il contratto non era stata ancora stipulato. 

Può, dunque, essere pronunciato il seguente principio di diritto: «In materia di prestazioni sanitarie rese da strutture private in regime di accreditamento, la pubblica amministrazione può stipulare il contratto di cui all’art. 8-quinquies del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, con effetti retroattivi, anche nell’anno successivo a quello in cui sono state rese le prestazioni, trattandosi di contratti “imposti” dalla legge, disciplinati da un peculiare modulo procedimentale a formazione progressiva, presidiato da norme imperative, che doppia la procedura negoziale, dovendosi anche tenere conto della determinazione dei tetti di spesa annuali che, in modo del tutto fisiologico, attraverso appositi tavoli tecnici cui partecipano i rappresentanti delle varie categorie interessate, possono sopraggiungere anche oltre l’anno di riferimento, purché in tempi ragionevoli». 

Comments are closed.