In caso di mancato consenso informato per cure salva-vita, si deve specificatamente dimostrare che non si sarebbe accettato il trattamento sanitario

Corte di Cassazione, sentenza n 13597 del 19 maggio 2021

La ricorrente ha sostenuto “non ha mai ricevuto alcun valido consenso informato” e “non si sarebbe certamente sottoposta se messa a conoscenza delle problematiche”. Come anticipato, sotto tale profilo ha contestato la quarta argomentazione della Corte territoriale, rilevando che siffatti postumi permanenti (14% secondo il ctp) sarebbero certamente superiori alla “soglia minima di tollerabilità”.
Da quanto precede, emerge con evidenza che le censure sono parziali e generiche. In particolare, la prima argomentazione della Corte territoriale, non è contrastata e cioè il fatto che l’intervento operatorio del 23 gennaio 2009, correttamente eseguito, si è reso necessario per impellenti esigenze di cura (cd salva vita) che non consentivano una scelta alternativa della paziente. Tale profilo viene contestato tardivamente in udienza di discussione davanti a questa Corte. Tale opzione (cioè la rinuncia alla cura) risultava inverosimile “anche se (la paziente fosse stata) resa edotta della possibile complicanza”. Inoltre, la Corte aggiunge che l’attrice non distingue il tipo di informazione che avrebbe dovuto ricevere in occasione dei differenti interventi medici affrontati e quindi questa genericità e la onnicomprensività della deduzione, non consente di superare la argomentazione del giudice di appello, secondo cui non vi era alternativa all’intervento operatorio del 23 gennaio 2009. La ricorrente, in definitiva non aggredisce adeguatamente il ragionamento presuntivo della Corte territoriale secondo cui le gravi patologie da cui era affetta la paziente e le impellenti esigenze curative cui era indirizzato l’intervento del 23 gennaio 2009 rendevano estremamente improbabile che la paziente, seppure adeguatamente informata, si sarebbe astenuta dall’eseguirlo.

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