Prestazioni ambulatoriali pagate come ricoveri: maxi condanna anche dopo 14 anni

Corte dei Conti, seconda sezione centrale di Appello, sentenza n 230 del 10 luglio 2021

Con la sentenza in epigrafe indicata già la Sezione regionale per l’Emilia-Romagna aveva condannato a risarcire il danno, pari a euro 14.044.181,10 in favore della Regione Emilia-Romagna, la società x S.p.A., e i dirigenti dell’ASL, nelle rispettive qualità rivestite all’epoca dei fatti, in solido.


La vicenda trae origine dall’indebita maggiore remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera riabilitativa che avrebbe dovuto essere erogate, nel periodo dal 2007 al 2010, secondo i casi, in forma ambulatoriale ovvero, tutt’al più, ricorrendone i presupposti, in forma di assistenza ospedaliera riabilitativa di carattere estensivo (cod. 60): i cospicui introiti conseguiti dalla società, a titolo di riabilitazione “intensiva”, sarebbero dipesi da comportamenti fraudolenti dei predetti vertici amministrativi e sanitari (per i quali gli stessi sarebbero stati tratti a giudizio penale).
L’importo complessivo per cui v’è condanna rappresenta il corrispettivo complessivamente versato alla società “accreditata” e non dovuto, per effetto della contestata “inappropriatezza” dei percorsi terapeutici rimborsati dall’amministrazione regionale.
In materia di prescrizione, la stessa giurisprudenza contabile ha ammesso che l’occultamento doloso può realizzarsi anche attraverso un comportamento semplicemente omissivo del debitore, avente a oggetto un atto dovuto, cioè un atto cui il debitore sia tenuto per legge (vedasi Sez. III n. 345 e n. 254 del 2016; Sez. App. Sicilia n. 198 del 2012; più di recente, Sez. II n. 77, n. 334, n. 185 del 2019; n. 305; n. 250, n. 164, n. 147, n. 123 del 2020; n. 120 del 2021; Sez.I n. 80 del 2017 e n. 173 del 2018).
D’altra parte, i giudici di legittimità (ex multis, Cass., Sez. II penale, n. 30798, del 27 luglio 2012), hanno rimarcato che anche il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze, da parte di chi abbia il dovere giuridico di farle conoscere, integri l’elemento oggettivo del reato di truffa contrattuale, trattandosi di un raggiro idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che, altrimenti, non avrebbe dato: “l’omissione dolosa si riscontra anche nelle ipotesi in cui le circostanze taciute siano conoscibili dalla controparte mediante l’ordinaria diligenza” (Cass. Sez. II pen., n. 24340/2010 e n. 41717/2009).
Nel caso di specie, non v’è dubbio che, a prescindere dalla rilevanza penale delle condotte ascrivibili agli odierni appellanti, l’occultamento doloso si sia manifestato attraverso la patente violazione degli obblighi di trasparenza, correttezza e buona fede oggettiva che, alla luce degli artt. 1175 e 1375 c.c., gravano sulle parti contrattuali. Il silenzio, volutamente serbato per un arco temporale considerevole, su circostanze idonee a incidere sulla liquidazione dei compensi erroneamente corrisposti alla struttura sanitaria accreditata, risulta, senz’altro, idoneo a integrare una condotta omissiva dolosa, ulteriore rispetto a quella principale imputabile ai soggetti coinvolti, tale da integrare un vero e proprio doloso occultamento.
Nelle due relazioni, il professionista dichiara che solo in 55 casi, pari a circa il 5% delle 1.084 cartelle da lui esaminate, avrebbe potuto essere avallata la conclusione della necessità di un ricovero, ancorché in riabilitazione di tipo estensivo, mentre, in tutti gli altri casi, i trattamenti riabilitativi avrebbero dovuto essere effettuati in regime ambulatoriale, con una remunerazione a carico del SSN notevolmente inferiore a quella richiesta e ottenuta.
Anche rispetto a tali informazioni, la notifica dell’invito a dedurre (avvenuta il 15/18.06.2018) appare tempestiva, e pienamente idonea a interrompere il decorso del termine prescrizionale.

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