L’indennizzo è riconosciuto anche se la trasfusione è avvenuta all’estero (preventivamente autorizzata)

Corte di Cassazione Civile, sez. L, sentenza n. 11018 del 27 maggio 2016

Deve essere ribadito il principio secondo cui l’intervento terapeutico all’estero necessitato dall’esigenza di sopperire a deficienze del Servizio Sanitario Nazionale e da questo preventivamente autorizzato nella verificata sussistenza dei presupposti di legge deve essere fondatamente ricondotto nell’ambito della protezione predisposta dalla legge per la tutela della salute del cittadino italiano ai fini dell’erogazione dell’indennizzo di cui alla I. n. 201 del 1992. Ciò posto, poiché nella specie è stato accertato dalla Corte territoriale che il paziente “fu costretto, data la particolarità dell’affezione e la necessità di cure altamente specialistiche, previa autorizzazione delle competenti autorità nazionali, a sottoporsi ad interventi chirurgici all’estero” per i quali fu “sottoposto a vari cicli dì emotrasfusione” da cui sviluppò il virus dell’epatite, non è ostativo all’estensibilità dell’indennizzo per conseguenze dannose verificatesi per effetto di trasfusioni e somministrazione di sangue ed emoderivati. Infatti, anche se praticate in strutture sanitarie estere, quando l’intervento sia legalmente autorizzato, non si può ritenere che l’omissione od impraticabilità degli accertamenti in sede amministrativa possa, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, essere di impedimento alla azionabilità della pretesa in sede giudiziaria”.
http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20160530/snciv@sL0@a2016@n11018@tS.clean.pdf

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