L’incompletezza della cartella clinica apre la strada alla prova presuntiva a sfavore del medico

Corte di Cassazione, sez. 3, sentenza n. 22639 del 8 novembre 2016

Il consolidato insegnamento della giurisprudenza della Suprema Corte è che nella incompletezza della cartella clinica – che è obbligo del sanitario tenere invece in modo adeguato – rinviene proprio il presupposto perché scatti la prova presuntiva del nesso causale a sfavore del medico, qualora la condotta dello stesso sia astrattamente idonea a cagionare quanto lamentato (tra gli arresti più recenti v. Cass. sez. 3, 27 aprile 2010 n. 10060 – per cui riguardo la responsabilità professionale del medico “il nesso causale sussiste anche quando, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si possa ritenere che l’opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto fondate possibilità di evitare il danno; a tal fine, la difettosa tenuta della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta del medico e le conseguenze dannose sofferte dal paziente, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocare il danno, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni, assumendo rilievo, al riguardo, il criterio della “vicinanza alla prova”, cioè della effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla” – e Cass. sez. 3, 26 gennaio 2010 n. 1538 – che, sempre a proposito della responsabilità professionale del medico, puntualizza che “le omissioni nella tenuta della cartella clinica al medesimo imputabili rilevano sia ai fini della figura sintomatica dell’inesatto adempimento, per difetto di diligenza, in relazione alla previsione generale dell’art. 1176, secondo comma, c. c., sia come possibilità di fare ricorso alla prova presuntiva, poiché l’imperfetta compilazione della cartella non può, in linea di principio, tradursi in un danno nei confronti di colui il quale abbia diritto alla prestazione sanitaria” -; sulla stessa linea v. pure Cass. sez. 3, 5 luglio 2004 n. 12273 – che sottolinea che “il medico ha l’obbligo di controllare la completezza e l’esattezza del contenuto della cartella, la cui violazione configura difetto di diligenza ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c. c. ed inesatto adempimento della corrispondente prestazione medica”, Cass. sez. 3, 21 luglio 2003 n. 11316 – per cui “la difettosa tenuta della cartella clinica naturalmente non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici in relazione alla patologia accertata e la morte, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocarla, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell’onere della prova ed al rilievo che assume a tal fine la “vicinanza alla prova”, e cioè la effettiva possibilità l’una o per l’altra parte di offrirla” -; e cfr. altresì Cass. sez. 3, 9 giugno 2011 n. 12686, Cass. sez. L, 13 marzo 2009 n. 6218, Cass. sez. 3, 19 aprile 2006 n. 9085 e Cass. sez. 3, 13 settembre 2000 n. 12103).
la sentenza

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