La tutela del nome del whistleblower? Opera solo in ambito disciplinare, non in ambito penale

Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 9047 del 27 febbraio 2018

La lettura della norma dettata dall’art. 54 bis del d. L.vo 30.03.2001 n. 165 offre puntuale conferma dell’esattezza dell’impostazione seguita dai giudici napoletani, atteso che il secondo comma dell’articolo in questione è esplicito nel significare che l’anonimato del denunciante – che, in realtà, è solo riserbo sulle generalità, salvo ovviamente il consenso dell’interessato alla loro divulgazione – opera unicamente in ambito disciplinare, essendo peraltro subordinato al fatto che la contestazione “sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione”, giacché, ove detta contestazione si basi, in tutto o in parte, sulla segnalazione stessa, “l’identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato”: ne consegue che, in caso di utilizzo della segnalazione in ambito penale, non vi è alcuno spazio per l’anonimato – rectius: per il riserbo sulle generalità – in tal senso essendo altresì significativa l’espressa salvezza delle ordinarie previsioni di legge operata dal comma 1 della succitata norma, per il caso che la denuncia integri gli estremi dei reati di calunnia o diffamazione, ovvero ancora sia fonte di responsabilità civile, ai sensi dell’art. 2043 di quel codice. Il che trova ancor più tangibile riscontro nella recentissima modifica del detto art. 54 bis di cui alla legge 30.11.2017 n. 179 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 14.12.2017), ove, con disciplina più puntuale, coerentemente alla perseguita finalità di apprestare un’efficace tutela del dipendente pubblico che riveli illeciti, è precisato espressamente che, “Nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del codice di procedura penale”.

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