Il comma 459 delle legge 147/2013 impone l’adeguamento del trattamento dei propri dipendenti e l’abrogazione degli assegni ad personam

Consiglio di Stato, sentenza n. 1385 del 5 marzo 2018

Il comma 459 della legge n. 147 del 2013 impone a tutte le Amministrazioni, nei cui ruoli siano rientrati propri dipendenti cessati da precedenti ruoli o incarichi, di adeguare ‒ senza alcuna distinzione ‒ i relativi trattamenti giuridici ed economici (disponendo la cessazione degli assegni ad personam in precedenza corrisposti) «a partire dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore» della legge n. 147 del 2013. La prescrizione spiega dunque effetto per tutti i ratei retributivi da corrispondersi a partire dal 1 febbraio 2014 (ma, ovviamente, senza che vi sia luogo a restituzione di quanto fino a tale data percepito, in ciò sostanziandosi l’irretroattività, ove rettamente intesa, della norma sopravvenuta).
Su queste basi, le disposizioni di cui all’art. 1, commi 458 e 459, legge n. 147 del 2013 hanno quindi efficacia retroattiva, ma si tratta, per la precisione, di un caso di retroattività c.d. “impropria”, che si realizza quando le norme sopravvenute regolano diversamente i tratti non esauriti dei rapporti di durata.
L’immediata vigenza della misura di revisione del trattamento stipendiale è, del resto, coerente con l’obiettivo di contenimento finanziario reso manifesto dalla sua inserzione nel contesto della manovra di riequilibrio del bilancio pubblico (legge di stabilità per l’anno 2014).
È opportuno precisare che il disposto normativo in esame non contrasta con il percorso della giurisprudenza costituzionale che ha condotto alla progressiva valorizzazione del legittimo affidamento, quale principio posto a tutela delle situazioni soggettive consolidatesi per effetto di atti dei pubblici poteri idonei a generare un’aspettativa nel loro destinatario (cfr. da ultimo, le sentenza n. 16 del 2017 e n. 203 del 2016. Cfr anche Corte EDU sentenza 19 giugno 2012, Khoniakina contro Georgia, paragrafo 76; sentenza 20 marzo 2012, Panfile contro Romania, paragrafi 11 e 21; sentenza 6 dicembre 2011, Šulcs contro Latvia, paragrafi 25 e 29; sentenza 7 giugno 2001, Leinonen contro Finlandia; cfr anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea sentenza 27 febbraio 2018, in C64/16, paragrafo 46).
Il Collegio neppure condivide l’affermazione del giudice di prime cure ‒ mutuata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza n. 89 del 2016; la cui decisione parimenti non può trovare condivisione alcuna ‒ secondo cui l’art. 3, comma 1, della legge 3 maggio 1971, n. 312 (Trattamento economico dei componenti del Consiglio superiore della magistratura eletti dal Parlamento cessati dalla carica) disciplinerebbe «casi assolutamente particolari e specificamente individuati e, come tale, non può ritenersi che venga abrogato da una norma di carattere generale contenuta nell’art. 202 del DPR 3/1957».
In senso contrario, deve ritenersi che l’art. 3, della legge n. 312 del 1971, è stato implicitamente abrogata dall’art. 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013.

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