Nel trasferimento le “esigenze d’ufficio” non possono essere smentite dalla realtà dei fatti

Consiglio di Stato, sentenza n. 3261 del 31 maggio 2018

Il Collegio rammenta che, sebbene l’orientamento giurisprudenziale sottragga i trasferimenti del personale militare all’onere della motivazione in quanto da classificarsi nella categoria degli ordini, tale tesi deve, in alcuni casi certamente particolari, essere contemperata con il principio generale dell’art. 3 della legge n. 241/1990, considerando anche l’evoluzione registrata dalla giurisprudenza costituzionale in materia (Corte costituzionale, sentt. nn. 113/1997, 197/1994, 17/1991); con la conseguenza che l’ordinamento militare, seppur peculiare, non è “impermeabile al sindacato del Giudice” (Cons. Stato, sez. IV, n. 8010/2010).
D’altro canto, secondo pacifico orientamento giurisprudenziale (v. sul punto Cons. Stato IV, n. 4577/2011 e, meno recentemente, V, 27 aprile 1994 n. 378; VI Sez., 27 maggio 1989 n. 704; IV Sez., 3 luglio 1985 n. 268; V Sez., 18 giugno 1984 n. 469) le esigenze di servizio della pubblica amministrazione richiamate dal provvedimento di trasferimento non sono ritenute sindacabili da parte del giudice amministrativo, rientrando nell’ampia potestà discrezionale autoorganizzativa dell’amministrazione. Al contempo, un sindacato più approfondito su una motivazione formale genericamente riferita alle esigenze del servizio è esercitabile soltanto se il militare deduca precisi elementi che smentiscano “in toto” le esigenze affermate dall’amministrazione (facendo emergere un’assoluta arbitrarietà e quindi abnormità dell’atto di trasferimento) (Cons. Stato, n. 2187/2011).
Ciò premesso, restando ferme le cennate coordinate giurisprudenziali in ordine all’insindacabilità delle scelte della pubblica amministrazione ed alla sufficienza della motivazione genericamente riferita alle esigenze di servizio per i trasferimenti delle forze dell’ordine, il Collegio rileva che nel caso di specie i presupposti del disposto trasferimento non risultano supportati da sufficiente ragionevolezza, fondatezza e sussistenza, al punto da doversi ritenere carente la motivazione addotta dall’amministrazione al riguardo.

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