Corte di Cassazione, sentenza 21473 del 19 agosto 2019
Il dirigente medico non ha un diritto soggettivo ad effettuare interventi che siano qualitativamente e quantitativamente costanti nel tempo, sicché lo stesso non può opporsi né a scelte aziendali che siano finalizzate a tutelare gli interessi collettivi richiamati dall’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992, né alle direttive impartite dal responsabile della struttura che perseguano l’obiettivo di garantire efficienza e qualità del servizio da assicurare al paziente.
Ciò non significa che la professionalità del dirigente medico non riceva alcuna tutela, perché innanzitutto deve essere garantito al dirigente di svolgere un’attività che sia correlata alla professionalità posseduta, sicché il dirigente stesso non può essere posto in una condizione di sostanziale inattività né assegnato a funzioni che richiedano un bagaglio di conoscenze specialistiche diverso da quello posseduto e allo stesso non assimilabile sulla base delle corrispondenze stabilite a livello regolamentare. Inoltre, poiché, come si è detto, il datore di lavoro è tenuto al rispetto dei principi di correttezza e buona fede, l’esercizio del diritto non può essere ispirato da finalità vessatorie né avvenire causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte, al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali il diritto medesimo è attribuito