Corte di Cassazione, sentenza n. 20914 del 5 agosto 2019
Un dipendente di un’università, rinviato a giudizio quale imputato dei reati di peculato e falsità materiale commessa da pubblico ufficiale, era stato destinatario di contestazione disciplinare in data 24 dicembre 1996 cui aveva fatto seguito la sospensione del relativo procedimento in attesa della definizione del giudizio penale. In data 10 luglio 2009, era cessato d’ufficio dal servizio per raggiunti limiti di età.
Divenuta definitiva la sentenza penale di condanna, l’Ateneo aveva riavviato il procedimento disciplinare a suo tempo sospeso e proceduto al licenziamento senza preavviso con decorrenza dal 24 dicembre 1996, data della prima sospensione cautelare dal servizio
Il lavoratore con ricorso contestava la caducazione del potere e l’insussistenza dell’interesse dell’Amministrazione universitaria a sanzionare, con un licenziamento postumo, la retrodatazione del provvedimento disciplinare nonostante l’intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro per compiuti limiti di età
La Suprema Corte ha, invece, chiarito che la normativa vigente è chiara nell’affermare la permanenza del potere disciplinare in capo alla Pubblica Amministrazione non solo nell’ipotesi in cui la pregressa sospensione cautelare del dipendente renda necessaria la regolazione degli aspetti economici connessi alla sospensione e, quindi, l’accertamento sulla sussistenza dell’illecito che aveva dato causa alla sospensione medesima. Il legislatore ha voluto, infatti, che, nei casi di comportamenti di gravità tale da giustificare il licenziamento, la sanzione debba essere comunque inflitta, a prescindere dalla attualità del rapporto di lavoro, “ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione”. In tal modo ha trovato consacrazione quell’approdo interpretativo che, anche a prescindere dal più recente intervento legislativo, ha fatto leva sulle peculiarità del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. rispetto a quello privato, per sostenere il perdurante interesse all’accertamento della responsabilità disciplinare a fini che trascendono il rapporto già cessato, ma che rispondono comunque ai principi di legalità, di buon andamento e di imparzialità che, per volontà del legislatore costituzionale, devono sempre caratterizzare l’azione della pubblica amministrazione.