Non sono sufficienti 17 anni passati dopo l’archiviazione, per distruggere le intercettazioni

Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n 13459 dep 7 aprile 2022

Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Gorizia, con istanza depositata il 7 dicembre 2018, ha chiesto procedersi alla distruzione delle intercettazioni telefoniche e ambientali eseguite in un procedimento, per il quale, con decreto emesso il 9 agosto 2005, era stata disposta l’archiviazione. Il GIP ha rigettato la richiesta.

Il Supremo Collegio ha stabilito che, a fronte della richiesta avanzata dal pubblico ministero, il giudice, seguendo l’iter procedimentale prescritto (e quindi fissando l’udienza camerale e assicurando alle parti interessate il diritto al contraddittorio), ha rigettato la richiesta sottolineando come non fosse stato specificato quali intercettazioni dovessero essere distrutte ed il perché dovessero essere considerate inutili (atteso che l’archiviazione — rappresentando una fisiologica stasi del procedimento — non equivarrebbe a certa e futura non rilevanza del materiale probatorio acquisito). Il dato logico evidenziato dal giudice è che l’elemento processuale dell’archiviazione del procedimento è in sé neutro, in quanto espressione di una semplice fase del procedimento, che, così come non può fondare per ciò solo il rigetto dell’istanza in prospettiva di una futura eventuale riapertura del procedimento e di una conseguente rinnovata valenza probatoria del materiale intercettato (determinando così effettivamente una indebita stasi procedinnentale ed un conseguente permanente compressione degli interessi, costituzionalmente tutelati, delle parti coinvolte), non può, allo stesso modo, giustificare di per sé solo il suo accoglimento, appunto in quanto mero dato processuale, che nulla dice in ordine alla rilevanza del materiale intercettato.

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