Esterovestizione: la verifica della residenza in Italia non richiede necessariamente la prova di una finalità elusiva

Corte di Cassazione, ordinanza n. 23225 del 25 luglio 2022

La Guardia di finanza, notificò alla società X, con sede legale dichiarata in Cina, un avviso d’accertamento relativo all’anno d’imposta 2004, con il quale, sul presupposto che la società fosse da considerarsi fiscalmente residente in Italia, accertò un reddito d’impresa di € 6.342.079,14.

Infatti, nel corso di una verifica fiscale nei confronti della Y s.p.a., esercente l’attività di fabbricazione di componenti elettronici e controllante la X Ltd., era stato rilevato che nel Consiglio di amministrazione della controllata cinese sedevano C.A., C.A. e V.A., che avevano ricoperto o ricoprivano cariche di vertice anche all’interno della società italiana. I predetti erano tutti residenti in Italia e, anche per le cariche ricoperte nella società italiana, nel territorio nazionale permanevano in pianta stabile.

La Corte in merito ha statuito che non vi è necessaria coincidenza tra accertamento della residenza in Italia di una società ai sensi dell’art. 73, terzo comma, t.u.i.r. ed accertamento della c.d. esterovestizione elusiva, trattandosi di concetti che possono, ma non debbono inevitabilmente presentarsi contemporaneamente in ogni fattispecie di rilevanza transnazionale. Con la conseguenza, quindi, che la verifica della residenza in Italia di una società, ai sensi del ridetto art. 73, non richiede necessariamente l’imputazione alla contribuente, e l’accertamento, di una finalità elusiva volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe (in questo senso cfr. Cass. 11/04/2022, n. 11709 e n. 11710, tra le stesse parti).

Può quindi formularsi il seguente principio di diritto: « In materia di imposte sui redditi delle società, l’art. 73, comma 3, d.P.R. n. 917 del 1986 individua i criteri di collegamento (la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale), paritetici ed alternativi, delle società e degli enti con il territorio dello Stato, la cui ricorrenza, per la maggior parte del periodo d’imposta, determina la residenza in Italia e l’assoggettamento alla potestà impositiva del fisco italiano, a prescindere dall’accertamento di un’eventuale finalità elusiva della contribuente, che sia volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe».

Nel caso sub iudice, tra i criteri alternativi e paritetici descritti nell’art. 73, terzo comma, t.u.i.r., viene in rilievo quello della « sede dell’amministrazione».

Questa Corte, a proposito dell’interpretazione del relativo concetto, ha già avuto modo di precisare, e di ribadire recentemente, che « la nozione di “sede dell’amministrazione”, in quanto contrapposta alla “sede legale”, deve ritenersi coincidente con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (Cass., 16/06/1984, n. 3604, 04/10/1988, n. 5359, 18/01/1997, n. 497, 13/04/2004, n. 7037, 12/03/2009, n. 6021, 28/01/2014, n. 2813); un analogo principio è stato affermato, con specifico riferimento all’art. 73, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986, da Cass. pen., 24/01/2012, n. 7080, 21/02/2013, n. 32091, 13/07/2018, n. 50151;» (così Cass. 03/06/2021, n. 15424, in motivazione; nello stesso senso Cass. 21/06/2019, n. 16697, in motivazione).

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