Interest rate swaps (IRS) e enti locali: legislazione e giurisprudenza italiana e inglese

Cosa sono gli Interest rate swaps (IRS)

Nella loro forma più semplice (plain vanilla), gli IRS danno luogo a uno  scambio di flussi di interessi in cui una controparte paga un tasso fisso e l’altra un tasso variabile su un valore nozionale sottostante, che invece non viene scambiato. Nel caso in cui il governo paghi il tasso variabile e riceva il tasso fisso si parla di receiver swap, viceversa (il governo paga il fisso e riceve il variabile) si è in presenza di un payer swap. Gli IRS sono solitamente utilizzati per modificare la duration del debito pubblico, allineandola al valore obiettivo scelto dal governo (debt duration targeting). Le due tipologie (receiver/payer) rispondono a obiettivi in termini di duration differenti (Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, n 550, “Don’t look back in anger: l’utilizzo dei derivati nella gestione del debito pubblico italiano”, p. 7, Marzo 2020).

La legislazione in materia di derivati e enti locali 

La materia è stata oggetto di una notevole attenzione da parte del Legislatore a partire dagli anni 2000.

L’art. 202 T.u.e.I. (entrato in vigore il 13/10/2000), stabilisce che “il ricorso all’indebitamento da parte degli enti locali è ammesso esclusivamente …. per la realizzazione degli investimenti”

Il principio è stato elevato a rango costituzionale, con la modifica all’art. 119 co. 5 Cost. operata dalla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, il quale ora recita che “I Comuni, le Province, le Citta’ metropolitane e le  Regioni  …    Possono    ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento”

L’art. 30 co. 15 della legge 289/2002 ha introdotto la disposizione secondo cui “Qualora gli enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare  spese  diverse  da  quelle di investimento, in violazione dell’articolo  119  della  Costituzione,  i relativi atti e contratti sono  nulli”

Un anno prima l’art. 41, comma 1, della I. n. 448 del 2001, aveva stabilito che, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, fossero approvate le norme relative all’ammortamento del debito e all’utilizzo degli strumenti derivati da parte degli enti locali. Il conseguente d.m. n. 389 del 2003 disponeva espressamente, all’art. 3, comma 1, la regola secondo cui gli enti locali potessero concludere operazioni derivate consistenti in swap di tasso di interesse e, in termini più generali, operazioni derivate finalizzate alla ristrutturazione del debito solo assicurando stringenti condizioni.

Quest’ultima disposizione è stata successivamente superata con le modifiche apportate all’art. 3, comma 17, I. n. 350 del 2003 dall’art, 62, comma 3-bis) del d.l. n. 112 del 2008, come modificato dalla legge di conversione: per effetto di tale intervento legislativo è stato infatti previsto, per la prima volta, che costituisca indebitamento, ai sensi dell’art. 119, comma 6, Cost., «sulla base dei criteri definiti in sede europea dall’Ufficio statistico delle Comunità europee (EUROSTAT), l’eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate» 

Del medesimo tenore sostanziale è la modifica dello stesso comma 17, risultante dall’art. 75, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 118 del 2011, secondo cui integra indebitamento «l’eventuale somma incassata al momento del perfezionamento delle operazioni derivate di swap (cosiddetto upfront)»]. 

Infine, in forza dell’art. 1, comma 572, I. n. 147 del 2013 è venuta meno, in via generale (e salve eccezioni specificamente previste) la possibilità, da parte degli enti locali, di stipulare i contratti relativi agli strumenti finanziari derivati.

La giurisprudenza italiana e inglese: giurisdizione per danno erariale, organo competente a deliberare, arresti delle corti inglesi 

La Corte di Cassazione, SS.UU., con la sentenza n. 9680 del 5 aprile 2019 ha affermato la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di danno all’ente pubblico derivante dall’acquisto di IRS, nei confronti di dirigenti e funzionari. La censura inerisce ad una valutazione che il Giudice contabile effettua sull’azione del funzionario e degli amministratori secondo i criteri di efficacia ed economicità e, dunque, secondo parametri di legittimità, la colloca all’interno della giurisdizione contabile e non esprime un sindacato del merito delle scelte discrezionali dell’amministrazione.

Tale posizione è stata ribadita da Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 2157 del 1 febbraio 2021. In quel caso era stata la sezione giurisdizionale Lazio della Corte dei Conti a dichiarare il difetto di giurisdizione nei confronti dei dirigenti del Ministero (con la sentenza n. 346 del 2018), richiamando la insindacabilità in sede giurisdizionale delle scelte discrezionali di merito sottese alla stipulazione dei contratti derivati da parte dello Stato. La Suprema Corte, invece, a Sezioni Unite ha riaffermato che “ferma restando l’insindacabilità giurisdizionale delle scelte di gestione del debito pubblico, da parte degli organi governativi a ciò preposti, mediante ricorso a contratti in strumenti finanziari derivati, rientra invece nella giurisdizione contabile, in quanto attinente al vaglio dei parametri di legittimità e non di mera opportunità o convenienza dell’agire amministrativo, l’azione di responsabilità per danno erariale con la quale si faccia valere, quale petitum sostanziale, la mala gestio alla quale i dirigenti del Ministero del Tesoro (oggi MEF) avrebbero dato corso, in concreto, nell’adozione di determinate modalità operative e nella pattuizione di specifiche condizioni negoziali relative a particolari contratti in tali strumenti”.

In materia di organo competente a deliberare, sempre le sezioni Unite (Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 8770 del 12 maggio 2020), hanno stabilito che  “la dottrina e la giurisprudenza .. attribuiscono, in grande prevalenza e condivisibilmente, la relativa competenza al Consiglio comunale. … Deve perciò affermarsi che, ove l’IRS negoziato dal Comune incida sull’entità globale dell’indebitamento dell’ente, l’operazione economica debba, a pena di nullità della pattuizione conclusa, essere autorizzata dal Consiglio comunale”

Con un comunicato stampa in data 20 luglio 2021 la Procura regionale della Corte dei conti per la Lombardia ha reso noto di avere notificato un invito a dedurre a 2 intermediari finanziari e 64 tra ex amministratori e dirigenti della Città metropolitana di Milano in merito alla conclusione e gestione di alcuni contratti derivati (“swap”) manifestamente diseconomici per l’ente, ipotizzando 70 milioni di euro di danno erariale.

Il 28 giugno 2021 la medesima Procura regionale ha citato in giudizio Deutsche Bank AG e Dexia Crediop spa per sentirle condannare al risarcimento dei danni da esse arrecato, in qualità di consulenti qualificati (advisors), all’Amministrazione Provinciale di Brescia la quale aveva sottoscritto, nell’ambito di una operazione di ristrutturazione del debito, contratti di swap asseritamente rivelatisi – in base a relazioni di periti appositamente individuati dal predetto Ente locale – diseconomici, non convenienti ed inefficienti in quanto non adeguati alla copertura dei rischi. Anticipiamo già che nel relativo giudizio, però, la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia,  in data 06/09/2022  ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione nei confronti dei due operatori finanziari e ha indicato nel giudice civile ordinario l’autorità che ne è fornita.

I contratti relativi a tali strumenti derivati recavano una clausola che individuava la giurisdizione nelle corti inglesi. Vista la giurisprudenza della Corte di Cassazione formatasi in Italia, univocamente orientata a dichiarare la nullità dei contratti (per motivi di competenza, per divieto di legge, o per la natura stessa dei contratti), e visto che la Corte dei Conti stava cominciando a citare in giudizio funzionari, amministratori e gli stessi operatori finanziari, questi ultimi si sono rivolti alla High Court di Londra, citando in giudizio tre enti locali (per quanto è dato ad oggi conoscere): il Comune di Busto Arsizio e le città di Milano e Venezia.

Nella sua decisione del 12 ottobre 2021 ([2021] EWHC 2706 (Comm)) il Giudice Cockerill accoglieva la domanda della Banca, rigettando integralmente le argomentazioni del Comune di Busto Arsizio. La Commercial Court ha ritenuto, inter alia, che:

  • dall’analisi delle disposizioni costituzionali sulla capacità di indebitamento degli enti locali italiani (art. 119 Cost.) non è possibile dedurre alcun tipo di limitazione per tali enti a stipulare contratti derivati anche speculativi;
  • i requisiti dei contratti derivati delineati dalla Sentenza Cattolica non riguardano la capacità degli enti locali italiani ma integrano dei requisiti di validità contrattuale propri del diritto italiano. Conseguentemente, essendo gli Swap tra la Banca e il Comune retti dal diritto inglese, i requisiti della Sentenza Cattolica non sono applicabili;

Nel caso del Comune di Milano ([2022] EWHC 1544 (Comm)), in data 20/06/2022 nella parte narrativa l’Alta Corte scrive che il Comune nel 2017 aveva deciso di non agire in giudizio contro gli operatori finanziari, ma nel 2020 era mutato l’orientamento giurisprudenziale, e che, a seguito delle iniziative da parte della Procura Regionale della Lombardia presso la Corte dei Conti, gli operatori hanno citato in giudizio il Comune facendo valere la clausola di giurisdizione.  Il giudice inglese, quindi, ha deciso di invitare le parti a cercare un accordo, al fine dichiarato di evitare le sanzioni da una parte, e di essere coinvolti in un lungo procedimento giudiziario in Inghilterra dall’altro, pur dando atto che non esiste “un’equivalenza fra le rispettive posizioni”

Nel caso del Comune di Venezia qualche mese dopo (14 ottobre 2022), invece, il medesimo giudice si è spinto un po’ più oltre, dichiarando che in capo al Comune difettava la capacità giuridica per sottoscrivere i contratti, che, quindi, sono affetti da nullità radicale, con l’effetto che il Comune non è tenuto a versare gli ulteriori ratei futuri e ha diritto alla restituzione di quelli già versati,  ma che anche le banche, in linea di principio, hanno il diritto di detrarre da tale importo da restituire i costi sostenuti per coprire il rischio derivante dalle operazioni. 

Nel frattempo sono arrivati a conclusione i giudizi di primo grado incardinati dinanzi alla Corte dei Conti, 

Il 20 gennaio 2022 la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti della Basilicata ha mandato assolti i funzionari e amministratori, poichè ha escluso la sussistenza della colpa grave dei convenuti, mentre ha dichiarato il difetto di giurisdizione nei confronti degli operatori finanziari.

L’11 aprile 2022 la Corte dei Conti del Lazio ha assolto dirigenti e funzionari del Ministero delle Finanze, difettando il nesso causale tra la perdita subita dallo Stato e gli atti posti in essere dai convenuti, e in un caso, difettando il requisito della colpa grave. Ha ricordato  anche il periodo caratterizzato dalla gravissima crisi finanziaria che aveva prima colpito la Grecia, per la quale si era ipotizzata anche l’uscita dall’area euro, e poi l’Italia, alle prese con un valore dello spread superiore ai cinquecento punti, per cui il sistema finanziario non escludeva il rischio di default dell’Italia. Il Collegio ha inoltre ritenuto la mancanza di un’attenta verifica delle condizioni contrattuali sia stata imputabile all’amministrazione nel suo complesso, anche per carenza di adeguate risorse umane, più che ai convenuti.

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