L’obbligo di riversamento sussiste solo in caso di incompatibilità relativa, mentre per l’incompatibilità assoluta il danno deve essere provato e quantificato con i criteri generali

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per il Piemonte, sentenza n. 230 del 25 ottobre 2022

Il Caporal maggiore X, militare dell’E.I., è stato convenuto in giudizio per l’omesso riversamento di compensi percepiti per avere svolto, tra il 2017 e il 2019, attività di commercio di cani di razza bulldog francese, attività incompatibile con lo status di dipendente pubblico e nemmeno autorizzabile ai sensi dell’art. 53, comma 7 del D.lgs. n. 165/2001.

Osserva il Collegio che dalla formulazione normativa è dato evincere che la responsabilità di cui ai commi 7 e 7 bis cit. rispettivamente deriva dall’aver svolto incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza, versando cioè in situazione di c.d. incompatibilità relativa, e dal non aver riversato alla stessa amministrazione i relativi compensi. Si tratta dunque di incarichi retribuiti non conferiti dalla stessa p.a. di appartenenza ovvero non autorizzati, se proventi da altre p.a. o da privati, ma pur sempre astrattamente autorizzabili, ancorché non autorizzati. Il previsto regime autorizzatorio è infatti indicativo della preesistenza del diritto in capo al titolare, il cui esercizio è soggetto a limite legale a tutela dell’interesse pubblico, che può tuttavia essere rimosso mediante provvedimento amministrativo di carattere ampliativo.

A parere del Collegio, solo in tali casi si applica la speciale e tipica responsabilità derivante dal mancato riversamento del compenso dovuto, che costituisce allo stesso tempo parametro di quantificazione ex lege del danno, tipizzata nel comma 7 bis cit.

Al di fuori di tale perimetro la responsabilità amministrativa resta quella ordinaria e il danno soggetto ai generali criteri di quantificazione e di prova (cfr. Sez. App. Sicilia n. 33/2022, Sez. Puglia n. 186/2022, Sez. Sicilia n. 164/2020, Sez. Calabria n. 120/2020).

Le Sezioni riunite, chiamate a risolvere il contrasto giurisprudenziale sulla natura della responsabilità di cui al ridetto art. 53, commi 7 e 7 bis, hanno precisato che quest’ultimo comma, introdotto dalla L. n. 190/2012, “individua invece, esplicitamente, una diversa e ulteriore condotta, che sancisce espressamente la “responsabilità erariale” davanti alla Corte dei conti, anche se è evidente il collegamento con l’obbligo primario di richiedere ed ottenere l’autorizzazione”, distinguendo tra la natura sanzionatoria dell’obbligo di riversamento e quella risarcitoria della responsabilità derivante dal relativo inadempimento (n. 26/2019/QM).

Non appare percorribile la strada dell’estensione per via interpretativa di previsioni di carattere speciale, che producono anche effetti di deroga delle ordinarie regole sulla prova nel processo, secondo cui spetta all’attore provare i fatti costitutivi della propria pretesa.

Tornando al caso di specie, che, come detto, concerne attività commerciale esercitata in situazione di incompatibilità assoluta, va rilevato che, esclusa la possibilità di ricorrere alla tipizzazione e quantificazione ex lege del danno, non è stata data, ne’ tantomeno offerta, in questa sede, alcuna prova del nocumento che l’attività svolta dal convenuto, certamente sanzionabile in via amministrativa, come del resto risulta avvenuto, possa aver causato all’amministrazione di appartenenza o ad altra diversa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 4 della L. n. 20/1994 (come, ad esempio, una minore resa del servizio, con abbassamento quantitativo e qualitativo delle prestazioni).

Non è di conseguenza dimostrato uno dei presupposti essenziali della responsabilità amministrativa, così come scolpiti nell’art. 1, comma 1 della L. n. 20/1994.

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