Il reato di rivelazione di segreto d’ufficio non sussiste se la notizia è appresa da fonti aperte

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 39312 dep. 18 ottobre 2022

In un processo per rivelazione di segreto d’ufficio, la difesa aveva rappresentato che l’imputato ed un avvocato avevano conversato in merito alle opacità del mondo della ristorazione e l’imputato aveva fatto riferimento ad un imprecisato “accertamento preliminare”, risalente al 2011, svolto dalla Guardia di Finanza sulle operazioni societarie di un gruppo industriale. tale conversazione non aveva, tuttavia, riguardato notizie relative ad un’indagine penale a carico di tale imprenditore, che al momento del fatto non era ancora in corso, bensì notizie apprese dall’imputato da fonti aperte (indicate dallo stesso X nel registro generale del commercio e delle aziende di Lussemburgo, e nelle banche dati Mint Global International e Orbis)

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha stabilito che l’art. 326 cod. pen. contempla due autonome fattispecie di reato che possono anche concorrere tra loro, ovvero la rivelazione, anche colposa, da parte del pubblico ufficiale, o dell’incaricato di un pubblico servizio, della notizia d’ufficio, destinata a rimanere segreta, e l’utilizzazione di detta notizia.

La giurisprudenza della Corte è pervenuta al coordinamento delle due norme in considerazione sia del diverso lessico adottato dal legislatore (rivela – si avvale) che di argomentazioni di carattere sistematico e teleologico, ravvisando la fattispecie di cui al primo comma anche nell’ipotesi in cui la rivelazione sia fatta per fini di utilità patrimoniale in adempimento di una promessa corruttiva, concorrendo in questo caso la corruzione con il delitto di cui alla disposizione in esame. E’ stata, invece, ravvisata la fattispecie contemplata dal terzo comma nel caso in cui sussista un autonomo e diretto sfruttamento da parte dell’intraneus, non del valore economico eventualmente derivante dalla rivelazione del segreto, ma proprio del contenuto economico o morale in sé delle informazioni che devono rimanere segrete, per profitto patrimoniale o non patrimoniale (Sez. 6, n. 4512 del 21/11/2019, Mangani, Rv. 278326). Si tratta di un reato proprio e di pericolo concreto, nel senso che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta (Sez. U, n. 4694 del 27/10/2011, dep. 2012, Casani, Rv. 251271). Ne consegue che il reato non sussiste non so!o nella generale ipotesi della notizia divenuta di dominio pubblico, o di notizie futili o insignificanti (Sez. 6, n. 49526 del 3/10/2017, Greco, Rv. 271565), ma anche nel caso in cui, trattandosi di notizie d’ufficio ancora segrete, le stesse siano rivelate a persone autorizzate a riceverle e cioè che debbono necessariamente esserne informate per la realizzazione dei fini istituzionali connessi al segreto di cui si tratta, ovvero a soggetti che, ancorché estranei ai meccanismi istituzionali pubblici, le abbiano già conosciute (Sez. 5, n. 30070 del 20/03/2009, Rv. 244480). 

Tornando alla fattispecie in esame, rileva il Collegio che, a fronte di una rivelazione riguardante il mero fatto dell’accertamento sui trasferimenti di quote, tenuto conto, da un lato, del carattere non riservato del suo oggetto, e, dall’altro, della assoluta carenza di approfondimenti istruttori su natura e risultati dell’indagine svolta dalla Guardia di Finanza, la segretezza della notizia rivelata appare più oggetto di una presunzione da parte dei Giudici di merito che un risultato dimostrato ed acquisito con certezza al giudizio.

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