Peculato: oltre al reato e al danno erariale, c’è pure l’accertamento fiscale per “redditi diversi” (anche senza condanna penale definitiva)

Corte di Cassazione, sentenza n. 829 del 13 gennaio 2023

L’Agenzia delle entrate proponeva ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza della competente Commissione tributaria regionale, che aveva rigettato l’appello notificato a un contribuente nell’ambito di un contenzioso riguardante un avviso di accertamento, con il quale l’ufficio impositore, sulla base di un pvc della Gdf (innescato a sua volta da un procedimento penale nei confronti del medesimo contribuente), aveva recuperato a tassazione, per il 2008, una consistente somma, poiché l’interessato, come acclarato in sede di indagini penali, nella qualità di direttore di una Cassa edile, ponendo in essere condotte con abuso d’ufficio in concorso con altri, aveva distratto somme in suo favore, a titolo di “incentivo all’esodo” per la cessazione volontaria del rapporto di lavoro, in modo difforme da quanto deliberato dal comitato di gestione in sede di approvazione dell’incentivo stesso. Tale condotta, secondo l’atto impositivo poi emesso, aveva dato luogo a un maggior reddito (inquadrabile nella categoria dei “redditi diversi”) quale provento illecito (articolo 14, legge n. 537/1993 e successive modificazioni).

Il giudice di legittimità aveva già affermato il principio, reiterato dalla Corte con la decisione qui commentata, secondo cui i proventi derivanti da fatti illeciti, qualora non siano classificabili nelle categorie reddituali di cui all’articolo 6, comma 1, del Tuir, vanno, comunque, considerati come redditi diversi, in base a quanto espressamente stabilito dall’articolo 36, comma 34-bis, del Dl n. 223/2006, norma quest’ultima avente efficacia retroattiva, in quanto interpretazione autentica dell’articolo 14, comma 4, della legge n. 537/1993 (cfr Cassazione, nn. 18111/2009 e 31026/2017).

Riguardo, invece, all’aspetto di diritto divenuto più importante, per effetto delle censurate motivazioni della sentenza emessa nel grado regionale, la Corte ha conferito continuità all’altro principio secondo cui non occorre che la sussistenza del delitto presupposto sia accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (cfr Cassazione, n. 6093/2022, riguardante proventi originati da un delitto di riciclaggio).

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