Novità e criticità in materia di libera professione degli infermieri

Già da tempo da più parti si chiedeva l’introduzione anche per gli infermieri (e in genere per il personale sanitario diverso dai dirigenti) della c.d. “libera professione”, cioè della possibilità, per gli infermieri dipendenti pubblici, di esercitare come libero professionista al di fuori dell’orario di lavoro.


Com’è noto ciò era vietato, con la sola eccezione delle prestazioni occasionali.
Tale divieto era comune a tutto il personale del pubblico impiego, per il quale vige il principio dell’esclusività del rapporto di lavoro con il datore di lavoro pubblico. Una considerevole eccezione a tale principio è data dalla “libera professione” dei medici, che entro limiti ben definiti, possono essere autorizzati a svolgere delle attività professionali; per il momento si tralasciano tutte le differenziazioni e i complessi dettagli di tale normativa.


Già con la pandemia l’esclusività degli infermieri si comincia a “incrinare”, e il DL 127/2021 con l’art. 3-quater rimuove l’incompatibilità dettata per gli operatori delle professioni sanitarie, ma solo per attività che rientrano nel limite di quattro ore settimanali. Inoltre tale deroga era valida solo fino al termine dello stato d’emergenza. Il D.L. 24 marzo 2022, n. 24 ha poi disposto (con l’art. 10, comma 1) la proroga della disposizione fino al 31 dicembre 2022.

Il 28 febbraio 2023 il testo cambia di nuovo, prevedendo un’ulteriore proroga al 31 dicembre 2023 e innalzando il limite (delle attività per cui non opera l’incompatibilità) a otto ore settimanali (in particolare la disposizione è contenuta nel DL 29 dicembre 2022, n. 198, nel testo dell’art. 4, comma 8-ter risultante dopo la conversione in legge operata dalla L. 24 febbraio 2023, n. 14)

Infine, dal 30 marzo 2023 il DL n. 34/2023 ha disposto una nuova modifica al citato art. 3-quater, eliminando totalmente il riferimento al limite orario settimanale.

Il testo ad oggi vigente prevede al comma 1 che “Fino al 31 dicembre 2025, agli operatori delle professioni sanitarie …. appartenenti al personale del comparto sanita’, al di fuori dell’orario di servizio non si applicano le incompatibilita’ di cui all’ articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, e all’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165

Al comma 2 è pure stabilito che “In ogni caso gli incarichi di cui al comma 1, … sono previamente autorizzati, al fine di garantire prioritariamente le esigenze organizzative del Servizio sanitario nazionale nonche’ di verificare il rispetto della normativa sull’orario di lavoro“.

Tale disposizione quindi conserva il regime autorizzativo, ancorato a due limiti: le esigenze del SSN e la normativa sull’orario di lavoro.

Chi ha un minimo di esperienza nella sanità, ben comprende che tali limiti, se fatti rispettare, valgono ad elidere quasi totalmente la libertà degli operatori sanitari di svolgere attività professionali.


Infatti il problema del SSN è la mancanza di infermieri. Per dare un’idea della drammaticità della situazione, secondo il rapporto OCSE “Health at a Glance: Europe 2022”, la media europea degli infermieri per 1000 abitanti è 8.3, mentre in Italia ne abbiamo 6.3; in sintesi, mancano 2 infermieri ogni mille abitanti, cioè, a livello nazionale, circa 120.000 infermieri per essere in linea con la media europea. Ovviamente non si fa nemmeno il confronto con i migliori Stati europei, dove (Finlandia, Germania) il numero degli infermieri per abitanti è oltre il doppio di quello italiano, oppure con i migliori Stati OCSE (Svizzera, Norvegia), dove il numero degli infermieri per abitanti è addirittura il triplo di quello italiano.

Tutto ciò determina, tra l’altro, dei carichi di lavoro di gran lunga eccedenti le 36 ore settimanali, aggravati dall’impossibilità di pagare spesso tutte le ore di straordinario e garantire il riposo delle 11 ore tra un turno e un altro.
Già oggi agli infermieri sono richiesti sacrifici e un impegno di norma eccezionali rispetto a quanto stabilito dal contratto di lavoro, quindi penso che in nessuna azienda sanitaria si possa attestare che le esigenze del SSN sono già soddisfatte con il personale in organico, e, per l’effetto, autorizzare le prestazioni professionali degli operatori sanitari.


Così come sarà molto difficile riuscire ad attestare che le prestazioni svolte all’esterno dell’azienda sanitarie, sommate a quelle svolte all’interno dell’azienda sanitaria, non violano le norme riguardanti l’orario di lavoro (in particolare il limite allo straordinario e il riposo delle 11 ore). In sintesi, sembra che il legislatore abbia voluto, con un tratto di penna, cancellare la cronica mancanza di infermieri e la cronica difficoltà del rispetto dei limiti dell’orario di lavoro.


Certo, ciò indurrà tanti a conservare il posto di lavoro nelle aziende sanitarie pubbliche al fine di avere la certezza di uno stipendio sicuro, ma altrettanto verosimilmente la disponibilità a effettuare straordinari, richiami in servizio, turni di pronta disponibilità, verrà meno, a causa della possibilità di monetizzare molto più efficacemente il tempo rimanente dopo l’orario di lavoro nel SSN.

Un’ultima notazione è d’obbligo: la “libera professione” dei dirigenti medici è normata molto nel dettaglio, e negli anni si sono aggiunti una serie di vincoli e controlli veramente notevoli. Ciò, però, non ha portato a risolvere il problema delle liste d’attesa o il problema dei medici che effettuano prestazioni non autorizzate. Quindi, pensare che due commi di un testo di legge riescano a disciplinare un fenomeno complesso come quello della “libera professione” è veramente utopico e ingenuo.

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