Anche alle Università si applica il Codice del consumo, quindi le condizioni di recesso devono essere trasparenti e la giurisdizione è inderogabile

Consiglio di Stato, sentenza n. 4498 del 3 maggio 2023

Con l’appello in esame l’Università odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 11999 del 2021 del Tar del Lazio, recante rigetto dell’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla stessa Università al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento sanzionatorio del 15 gennaio 2020, con il quale l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, in applicazione dell’art. 27, comma 6, del d.lgs. n. 206/2005 (c.d. Codice del Consumo) le aveva irrogato una sanzione pecuniaria di complessivi euro 250.000,00, in ragione dell’asserita violazione degli artt. 24, 25 e 66 bis del d.lgs. n. 206/2005.

La condotta si era concretizzata in primo luogo nella frapposizione di ostacoli all’esercizio del diritto di recesso da parte dei studenti/consumatori; in particolare, risultava che il professionista avesse ostacolato l’esercizio del diritto di recesso da parte dei studenti/consumatori predisponendo un meccanismo di rinnovo automatico dell’iscrizione e subordinando gli effetti economici del recesso, non già soltanto al pagamento delle somme dovute per prestazioni pregresse e fruite, ma anche al pagamento delle somme maturate dopo la manifestazione del recesso.

In secondo luogo, nella previsione della competenza di un foro diverso da quello di residenza o domicilio del consumatore individuato, come risulta dai moduli contrattuali, dapprima nell’ufficio del Giudice di Pace di Sarno ovvero nel Tribunale di Nocera Inferiore e, in una edizione successiva della modulistica, nel Tribunale di Roma.

L’Università eccepiva la non applicabilità del Codice del Consumo.

Al riguardo, l’art. 18 del Codice del Consumo stabilisce che per professionista si deve intendere qualsiasi operatore il quale, nell’ambito delle pratiche commerciali oggetto della specifica disciplina, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale e professionale. Ciò che la disposizione richiede ai fini dell’assunzione della qualificazione soggettiva di che trattasi è, dunque, che la pratica commerciale sia posta in essere dal soggetto quale manifestazione della sua ordinaria attività di lavoro, a tale dato oggettivo soltanto essendo correlati gli accresciuti oneri di diligenza e di informazione a protezione di chi opera, al contrario (il consumatore), al di fuori dell’esercizio della sua attività professionale, ed è per tale ragione in posizione di tendenziale debolezza contrattuale.

Nel caso di specie, peraltro, pur dinanzi al carattere di servizio di interesse generale dell’attività svolta dell’università privata, non è in discussione il carattere remunerato della stessa ed il fine di lucro perseguito; né parimenti è discutibile la nozione di consumatore dello studente che si iscrive ad una università privata e che si trova dinanzi ad una predeterminazione delle relative clausole contrattuali, al pari di qualsiasi altro consumatore, ai fini della disciplina applicata nella specie dall’Autorità.

Nel merito i giudici hanno osservato che il sito online che per conto di un professionista offre un servizio, deve fornire in modo chiaro, trasparente ed immediato il reale prezzo del prodotto desiderato, nonché tutte le informazioni utili per orientare la scelta del consumatore, comprese quelle relative al recesso. In caso contrario la condotta dell’operatore è una pratica commerciale scorretta. 

Sia la normativa interna che quella comunitaria impongono che tutte le informazioni date al consumatore medio per orientarne le scelte commerciali siano immediatamente disponibili, chiare, dettagliate e trasparenti, comprese quelle fondamentali in merito al possibile recesso, che va garantito, in termini chiari e trasparenti, specie in relazione ad un servizio peculiare e di rilevante interesse pubblico quale quello di istruzione universitaria che coinvolge diritti costituzionali della persona.

Analoghe considerazioni vanno svolte – in secondo luogo – per la condotta concernente la violazione dell’articolo 66 bis del Codice del Consumo, secondo il quale “Per le controversie civili inerenti all’applicazione delle Sezioni da I a IV del presente capo la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello Stato”.

Nella fattispecie, infatti, è pacifico che i moduli contrattuali utilizzati con i consumatori riportassero dapprima l’indicazione dell’ufficio del Giudice di Pace di Sarno e del Tribunale di Nocera Inferiore e, in un’edizione successiva della modulistica, l’indicazione di Roma, quale foro competente in caso di controversie.

Secondo parte appellante la clausola in questione non ha affatto natura vessatoria ed è prontamente visionata dagli studenti, che prima di iscriversi a un corso di laurea presso l’Università hanno modo di sincerarsi di quale sia il foro competente e, eventualmente, proporne uno diverso.

Invero, tale ultimo inciso appare privo di prova e riscontro, in quanto la clausola risulta inserita in un modulo cui lo studente poteva solo aderire; né vi era alcuna indicazione nei termini ora sostenuti dall’Università.

Peraltro, vanno evidenziati due elementi dirimenti: da un lato la norma del codice individua la competenza come inderogabile; dall’altro lato, nel merito, la clausola costituisce una pacifica violazione della disciplina normativa applicata dall’Autorità.

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