Il procedimento in evidente conflitto di interessi non si può dire nemmeno correttamente avviato

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, sentenza n. 97 del 25 maggio 2023

La Sig.ra X, già dipendente del Comune di Y, è stata convenuta in giudizio dalla Procura regionale con atto di citazione per avere svolto, dal 2014 al 2019, attività extraistituzionale in favore di altro comune, senza l’autorizzazione dell’ente di appartenenza ex art. 53, comma 7 del D.lgs. n. 165/2001. 

In particolare, la convenuta, in forza dal 2008 presso il Comune di Y con rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato e qualifica di istruttore direttivo contabile, categoria D3, posizione economica D4, era titolare di posizione organizzativa con funzioni di responsabile del servizio di finanziario e ufficio ragioneria. Allo stesso tempo lavorava anche per il Comune di Cumignano, gestendone i servizi economico-finanziario e tributario per gli anni 2014, 2015, 2016, 2017, 2018 e 2019 e ricevendo compensi ammontanti ad € 834,00 mensili (al lordo delle ritenute fiscali), oltre al rimborso delle spese, per un totale complessivo pari ad € 66.592,00 (cfr. le determine di approvazione di bozza di disciplinare con contestuale impegno di spesa e i mandati di pagamento di cui al doc. 3 allegato alla citazione). Un’indagine amministrativa interna del giugno 2019 appurava che l’autorizzazione a svolgere la seconda attività presso il Comune di Z, necessaria ai sensi dell’art. 53 del D.lgs. n. 165/2001 cit., pur se rinvenuta agli atti del Comune di appartenenza, era stata formata dalla stessa interessata, in evidente conflitto di interessi. Il Comune di Y, quindi, irrogava il licenziamento disciplinare con risoluzione del rapporto di lavoro in data 12 novembre 2019. Il licenziamento era confermato, all’esito di articolata istruttoria dibattimentale, dal Tribunale di Cremona con la sentenza del 14 dicembre 2022 n. 131, acquisita agli atti, completa di motivazione, in data 31 marzo 2023 e passata in giudicato.

Osserva il Collegio che dalla vicenda emerge come il procedimento autorizzatorio non possa dirsi, non solo concluso, ma nemmeno validamente avviato ai sensi e per gli effetti dell’art. 53 D.lgs. n. 165/2001 e che la condotta della convenuta appare connotata da un evidente conflitto di interessi e in violazione dell’art. 6 bis L. n. 241/1990.

Tale ultima norma, inserita dalla L. n. 190/2012 (c.d. Legge anticorruzione), prevede espressamente (ma già costituiva principio generale dell’ordinamento del pubblico impiego), che “il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.

La convenuta, quindi, non poteva trattare, in nessuna delle sue fasi, ancorché endoprocedimentali, la pratica della autorizzazione all’incarico ex art. 53 D.lgs. n. 165/2001 che la riguardava direttamente in quanto beneficiaria.

A fronte di tale preciso dovere e obbligo giuridico, non reggono le difese che si appuntano sulla generale facoltà degli impiegati del Comune di Y di utilizzare un timbro con la firma del sindaco ovvero sulla modalità (tacita) di conclusione del procedimento nei rapporti fra due pp.aa. ai sensi del comma 10 del ridetto art. 53 (a mente del quale “decorso il termine per provvedere, l’autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata”).

Tali disposizioni, infatti, anche ammesso che fossero applicabili nel caso di specie, presuppongono che sia stato correttamente avviato il procedimento autorizzatorio, cosa che, invece, giusta quanto sopra, è da escludere.

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