Il termine di prescrizione dell’infedele patrocinio decorre dal nocumento al cliente, non dal momento del fatto

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 9382 dep 6 marzo 2023

Si contesta all’Avvocato X, nella sua qualità di patrocinatore, di essersi reso infedele ai suoi doveri professionali, non depositando il ricorso in sede di appello, nonostante avesse ricevuto la relativa procura alle liti. All’avvocato era, inoltre, contestato il reato di truffa, perché, inducendo in errore il cliente, circa la possibilità di proporre l’atto di ricorso in appello, si procurava un ingiusto profitto facendosi consegnare dalla medesima persona offesa la somma di euro 300,00 finalizzata al pagamento del contributo unificato. Con artifici e raggiri consistiti nel consegnare copia del ricorso in appello al cliente e nel fare firmare la relativa procura alle liti senza poi dare materialmente seguito al deposito degli atti nei termini di legge.

La pronuncia di primo grado fondava la declaratoria di prescrizione sul tempus commissi delicti in contestazione (ritenuto perfezionatosi il 5 marzo 2013, data di deposito della rinuncia all’atto di appello) e sulla circostanza che il decreto di citazione a giudizio era stato emesso il 1 luglio 2019, ovverosia dopo il decorso del termine ordinario della prescrizione pari a sei anni (13 marzo 2019).

La Suprema Corte, invece, ha stabilito che, poiché l’evento del reato di patrocinio infedele va identificato con il nocumento arrecato al patrocinato, è da tale data che il reato può ritenersi consumato ed è quindi da tale momento che inizia a decorrere il termine di prescrizione (vedi, Sez. 2, 14/02/2019, Musmeci, Rv. 275383). 

In merito alla nozione di nocumento, è già stato osservato da parte della giurisprudenza di legittimità che lo stesso può essere costituito anche dal mancato conseguimento di vantaggi formanti oggetto di decisione assunte dal giudice nelle fasi intermedie o incidentali di una procedura (Sez. 6, n. 8617 del 30/01/2020, Bruno, Rv. 278710 – 01; Sez. 6, n. 2689 del 19/12/1995, Forti, Rv. 204509 – 01). 

Per quanto interessa nel caso in esame, è bene rimarcare anche che il nocumento, per poter assumere rilevanza, deve essere conseguente alla violazione dei doveri professionali, non potendo evidentemente essere presi in considerazione effetti pregiudizievoli derivanti da ragioni diverse, eziologicamente non dipendenti dalle suddette violazioni deontologiche. Si deve, inoltre, considerare che nell’ambito del rapporto professionale e durante lo svolgimento del procedimento giudiziario, tenuto conto delle diverse fasi in cui esso si articola, si possono individuare eventi pregiudizievoli per la parte assistita anche indipendenti dall’esito favorevole o sfavorevole del giudizio, potendo rilevare anche il mero ritardo della definizione del procedimento, o anche una semplice preclusione processuale conseguente alla scadenza di un termine che abbia reso impossibile per la parte allegare una prova a suo favore o comunque di esercitare una facoltà spettante alla stessa quale parte processuale, e potendo rientrare nella nozione di nocumento anche la c.d. “perdita di chances”, consistente nella perdita di una concreta occasione favorevole al conseguimento di un bene determinato o di un risultato positivo.

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