Le norme sui “furbetti del cartellino” non giustificano il licenziamento automatico, a prescindere dalla gravità del comportamento

Corte di Cassazione, sentenza n. 18372 del 27 giugno 2023

Assunta come dipendente a tempo determinato dal Comune con contratto part-time, impugnava il licenziamento intimatole dal Comune ed avente ad oggetto irregolarità di gestione delle presenze con un totale di 13 giorni di scoperture nell’arco dell’anno 2019.

Con sentenza n. 84/2021, emessa in data 23.2.2021, il Tribunale respingeva il ricorso ritenendo che la mera richiesta di ferie non autorizzasse il dipendente ad assentarsi dal lavoro senza prima attendere la risposta dell’Amministrazione datrice 

Il giudizio sulla proporzionalità e gravità del licenziamento non può mai essere implicito, anche là dove il fatto addebitato non sia ascrivibile a mera negligenza del lavoratore per essere la relativa condotta connotata, come nella specie, da una chiara consapevolezza dell’arbitrarietà della stessa.

Questa Corte ha evidenziato come anche a fronte di una fattispecie legale quale quella di cui all’art. 55 quater del d.lgs. n. 165/2001, nel valutare la legittimità della sanzione irrogata dall’Amministrazione, una volta accertato che il lavoratore abbia commesso una delle mancanze previste dalla norma, il licenziamento non è una conseguenza automatica e necessaria, conservando l’amministrazione il potere-dovere di valutare l’effettiva portata dell’illecito tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e, quindi, di graduare la sanzione da irrogare, potendo ricorrere a quella espulsiva solamente nell’ipotesi in cui il fatto presenti i caratteri propri del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento.

Sul punto si è affermato (Cass. 19 settembre 2016, n. 18326; Cass. 24 maggio 2021, n. 14199; Cass. 15 febbraio 2023, n. 4800), con statuizione alla quale si intende dare continuità, che la suddetta norma cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell’elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a scriminante della condotta. Ferma la tipizzazione della sanzione disciplinare (licenziamento) una volta che risulti provata la condotta, permane la necessità della verifica del giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione che si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso.

Proprio l’art. 55 quater è stato, dunque, interpretato alla luce dello sfavore manifestato dalla giurisprudenza costituzionale rispetto agli automatismi espulsivi e, pertanto, si è valorizzato il richiamo testuale all’art. 2106, cod. civ., per limitare l’imperatività assoluta espressa dalla norma al rapporto fra legge e contratto collettivo e per affermare che l’esercizio del potere datoriale resta comunque sindacabile da parte del giudice quanto alla necessaria proporzionalità, della sanzione espulsiva (nella citata sentenza si rimanda alla giurisprudenza richiamata da Corte cost. n. 123 del 2020 che, valorizzando questa interpretazione costituzionalmente orientata, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 quater, prospettata dal Tribunale di Vibo Valentia).

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