I benefits ai dipendenti del settore creditizio su mutui e finanziamenti: criticità e possibili invalidità delle clausole

Si è già illustrato in un precedente post (Nel caso di finanziamenti a dipendenti, lo “sconto” sul tasso di interessi è reddito per i lavoratori e il coniuge ) la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate che afferma che lo “sconto” sul tasso di interessi di un mutuo o un finanziamento praticato da un istituto bancario o creditizio a favore dei propri dipendenti, costituisce reddito per i medesimi dipendenti.

Tale interpretazione, confermativa di un “trend” interpretativo e legislativo, è molto importante per gli effetti sulla finanza pubblica e privata che può avere, perchè in grado di innescare un “effetto domino” di non poco conto.

E’ doveroso, però, fare un passo indietro. Si ricorda che l’articolo 12, comma 1, del decreto-legge n. 115 del 2022 (come modificato da il comma 10 dell’articolo 3 del DL n. 176 del 2022), in deroga alla disciplina di cui all’art. 51, comma 3, del TUIR, ha disposto, per il solo periodo di imposta 2022, che non concorrano a formare il reddito imponibile ai fini dell’IRPEF nel limite complessivo di 3.000,00 euro, anziché 258,23 euro, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati al lavoratore dipendente, nonché le somme erogate o rimborsate al medesimo dal datore di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale. L’art. 40 del DL 48/2023 ha confermato per il 2023 la disposizione di cui sopra, restringendo, però, la platea dei destinatari ai lavoratori dipendenti con figli. 

Ai fini della stima, la relazione tecnica del provvedimento ha precisato che la potenziale platea interessata dalla norma è di circa 516 mila soggetti, per un impatto sulla finanza pubblica di 332 milioni di euro per il 2023. Da queste stime si comprende bene che la disposizione è tutt’altro che marginale, sia per la finanza pubblica, sia per la finanza privata.

Vi sono diversi aspetti da considerare:

  • l’impatto per il sistema bancario e creditizio
  • l’impatto per la finanza personale
  • l’impatto sui contratti di mutuo già stipulati

In merito all’impatto per il sistema bancario e creditizio, si consideri che di norma gli oneri deducibili per i datori di lavoro sono imponibili per i lavoratori, e viceversa.

Occorre sottolineare che la previgente disposizione contenuta nella lettera b) del comma 4 dell’articolo 51 stabiliva che, ai fini della determinazione del reddito, il raffronto dovesse essere operato con il tasso ufficiale vigente «al momento della concessione del prestito» e che l’articolo 13, comma 1, lettera b), n. 4), del d.lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, ha modificato tale disposizione prevedendo che il raffronto sia effettuato con il tasso ufficiale vigente «al termine di ciascun anno».

Quindi, in sintesi, se al termine dell’anno fiscale vi è un innalzamento dei tassi, come sta accadendo da un anno a questa parte, il gap con il tasso applicato ai dipendenti aumenta.

A ben vedere, in realtà, aumenta il gap solamente nel caso di mutui a tasso fisso, mentre in caso di tasso variabile, ovviamente, il tasso praticato ai dipendenti si adegua al mercato.

E’ pure da specificare che l’aumento del gap non implica nuovi oneri per i datori di lavoro, che continuano ad applicare i tassi in precedenza applicati in virtù di un contratto stipulato tra le parti.

Se, però, l’aumento dei tassi può permettere alle banche di iscrivere in bilancio come costi la differenza, allora sembreranno più “in salute” i bilanci e vi sarà il pagamento di minori imposte.

Come già anticipato sopra, però, l’iscrizione di tali oneri tra le componenti negative del bilancio, comporta la contestuale imponibilità nei confronti dei dipendenti, altrimenti si risolverebbe in una perdita netta di gettito per lo Stato.

Per l’anno 2022 e 2023 tale perdita di gettito è stata “istituzionalizzata” in due specifiche disposizioni di legge agevolative, che ha compensato le minori imposte da pagare da parte delle banche o dei dipendenti allocando circa 332 milioni di euro per il solo 2023.

In merito all’impatto per la situazione finanziaria dei dipendenti coinvolti, vi è da aggiungere un particolare molto importante per comprendere le tensioni che può generare tale sistema.

Il comma 3 dell’art. 51 del TUIR, stabilendo il limite di esenzione dalla imposte per i fringe benefits, stabilisce che  il superamente del limite (per il 2022 e 2023 di euro 3.000), i benefits concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare. Cioè, vi è una sorta di “gradino”: chi percepisce benefits per 2.999 euro, non paga imposte su tali importi, chi percepisce 3.001 euro di benefits paga le imposte su tutti i 3.001 euro, non solo sull’euro in più. Chi, per esempio, ha un’aliquota marginale IRPEF del 35% (cioè per coloro che hanno un reddito annuo lordo da 28.000 a 50.000 euro), pagherà 1.050 euro di tasse in più, che saranno quindi trattenute dallo stipendio netto.

Qualcuno potrebbe osservare che tale dinamica avviene per tutti i dipendenti, non solo per i dipendenti del settore bancario e creditizio. Ciò è vero, però l’ammontare dei benefits per tutte le categorie normalmente è abbastanza stabile (mensa, auto aziendale, sconti sulle merci, ecc…), mentre per i dipendenti del settore bancario l’entità dei benefits è ancorata dalla legge al tasso ufficiale di riferimento calcolato a fine anno. Quindi, per essere più chiari, pur percependo la medesima retribuzione e pagando la stessa rata di mutuo, un dipendente di una banca può a fine anno vedersi decurtato lo stipendio netto di 1.000 euro o più. Ciò avviene solo per i prodotti finanziari (mutui o prestiti), e l’oscillazione è molto più importante per i mutui, che di solito hanno importi di capitale e interessi molto più alti dei prestiti personali. Infine, gli unici datori di lavoro che possono erogare mutui sono le banche.

Ecco perché tale norma ha messo in difficoltà i dipendenti del settore bancario, e non i dipendenti di altri settori.

Riguardo all’impatto sui contratti di mutuo già stipulati, è evidente che vi sono delle criticità, percepite già come “ingiustizie” dal senso comune.

Come anticipato prima, originariamente legge considerava benefit la differenza tra il tasso realmente applicato e il tasso di riferimento al tempo della stipula; in questo modo si coglieva effettivamente lo “sconto” che la banca aveva applicato al proprio dipendente. Successivamente la norma ha imposto di calcolare il benefit in riferimento al tasso che è rilevato al termine di ogni anno. 

E’ evidente che così una parte dell’alea del contratto a tasso fisso, viene recuperata a tassazione, cosa che non avviene con i mutui a tasso fisso dei clienti ordinari delle banche

Peraltro il dipendente effettua la scelta tra tasso fisso e variabile al momento della stipula del contratto sulla base delle informazioni che gli sono fornite. Le disposizioni della Banca d’Italia sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti, all’allegato 3 reca il modello di prospetto informativo che ogni banca deve rendere al consumatore, e, tra le informazioni che devono essere date, vi sono pure, ad esempio, l’imposta di registro e le tasse ipotecarie. Ora è evidente che nella scelta di un finanziamento, il consumatore valuta pure l’aspetto fiscale, che, se sottaciuto, porta ad una decisione viziata.

Difatti, il meccanismo impositivo potrebbe condurre a rendere diseconomico il benefit. Nella tabella che segue si pongono a confronto due soggetti, un dipendente di una banca e un cliente ordinario, che pagano entrambi 2.000 euro di interessi annui sul mutuo. Il dipendente ha uno “sconto” del 20% degli interessi dalla banca, ma, alla fine dell’anno, “sfora” il tetto dei 3.000 euro di benefits e quindi paga il 35% di tasse su 3.000 euro.

Come si vede, il c.d. benefit diventa antieconomico per il dipendente.

dipendentecliente ordinario
Interessi annui sul mutuo2.0002.000
benefit banca400
interessi pagati effettivamente1.6002.000
detrazione fiscale degli interessi304380
oneri che restano a carico1.2961.620
imposte pagate sui benefits1.050
oneri effettivi finali2.3461.620

Si dovrebbe quindi prevedere almeno un meccanismo di opt-out, cioè la possibilità per il dipendente di accettare il benefit o meno.

In ogni caso, un contratto che è stato sottoscritto in difetto di informazioni fondamentali, potrebbe essere invalido, almeno per la parte relativa alla clausola in questione.

Quindi speriamo che questa norma venga ricondotta ad equità, evitando di generare sperequazioni o effetti finanziari non solo indesiderati, ma sostanzialmente ingiusti per una vasta platea di dipendenti del settore creditizio

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