L’attività libero professionale e di consulenza dei professori e ricercatori a tempo pieno dopo il DL 44/2023.

Il DL 44/2023 ha modificato (vedremo come) la disciplina dell’attività libero professionale e di consulenza dei professori e ricercatori a tempo pieno. A volte la notizia è passata inosservata, in altri casi qualche commentatore ha parlato di abrogazione dei limiti all’attività professionale e liberalizzazione della stessa. Vedremo che non è così, e che, più che altro, sono state recepite le indicazioni provenienti dalle sezioni d’Appello della Corte dei Conti.

L’attività libero-professionale di professori e i ricercatori universitari a tempo pieno è disciplinata dai commi 9 e 10 dell’art. 6 della legge 30 dicembre 2010 n. 240, che recitano:

9. La posizione di professore e ricercatore e’ incompatibile con l’esercizio del commercio e dell’industriaL’esercizio di attivita’ libero-professionale e’ incompatibile con il regime di tempo pieno

10. I professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, attivita’ di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attivita’ di collaborazione scientifica e di consulenza, attivita’ di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonche’ attivita’ pubblicistiche ed editoriali. I professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresi’ svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonche’ compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purche’ non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’universita’ di appartenenza, a condizione comunque che l’attivita’ non rappresenti detrimento delle attivita’ didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’universita’ di appartenenza

Il DL 44/2023, all’art. 9, commi 2-bis e 2-ter ha introdotto con effetto dal 22 giugno 2023 delle nuove disposizioni. Il testo in questione è il seguente:

2-bis. All’articolo 6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240,  dopo il comma 10 e’ aggiunto il seguente: 

“10-bis. I professori e  i  ricercatori  a  tempo  pieno  possono altresi’ assumere, previa autorizzazione del rettore, incarichi senza vincolo di subordinazione presso enti  pubblici  o  privati  anche  a scopo di lucro, purche’ siano svolti in regime di  indipendenza,  non comportino  l’assunzione  di  poteri   esecutivi   individuali,   non determinino situazioni di conflitto di interesse con l’universita’ di appartenenza e comunque non comportino detrimento  per  le  attivita’ didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’universita’ di appartenenza”. 

 2-ter. Il primo periodo del comma 10 dell’articolo 6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, con specifico riferimento  alle  attivita’  di consulenza,  si  interpreta  nel  senso  che  ai  professori   e   ai ricercatori a tempo pieno e’ consentito lo svolgimento  di  attivita’ extra-istituzionali realizzate in favore di privati o  enti  pubblici ovvero per motivi di giustizia, purche’  prestate  senza  vincolo  di subordinazione e in mancanza  di  un’organizzazione  di  mezzi  e  di persone  preordinata  al  loro  svolgimento,  fermo  restando  quanto previsto dall’articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  n.214

A prima vista l’interprete fatica a trovare i confini delle attività che sono disciplinate dai diversi commi in questione (commi 9, 10 e 10bis della L. 240/2010 e comma 2-ter del DL 44/2023). Per comprendere, possiamo focalizzare alcuni punti chiave per poi passare in rassegna alcune recenti sentenze che ci chiariranno meglio alcune espressioni utilizzate:

  • è vietata l’attività imprenditoriale e l’attività libero professionale (comma 9 l.cit);
  • è consentita l’attività di consulenza e sono consentiti, previa autorizzazione, gli incarichi gestionali presso privati senza scopo di lucro e presso enti pubblici (comma 10 l. cit.);
  • previa autorizzazione del rettore, sono consentiti incarichi presso privati anche con scopo di lucro, purchè senza poteri esecutivi individuali (comma 10bis, vigente dal 22/06/2023);
  • con norma di interpretazione autentica, e quindi retroattiva, si stablisce che l’attività di consulenza è consentita, purchè senza un’organizzazione di mezzi e persone;
  • rimane fermo il limite agli emolumenti a carico della finanza pubblica di euro 240.000 (ovviamente in caso di incarichi da enti pubblici)

La norma originaria (commi 9 e 10 l. cit.) ha generato un vasto contenzioso dinanzi alla Corte dei Conti, perchè da una parte molti professori a tempo pieno hanno considerato sempre consentita l’attività di consulenza resa a privati, mentre dall’altra parte la Corte dei Conti ha interpretato tale attività in modo più restrittivo. Vediamo alcune sentenza degli ultimi anni per comprendere meglio.

La Corte dei Conti della Lombardia (sentenza n. 147/2021) ha così illustrato i tratti salienti della disciplina vigente fino alla novella legislativa in vigore dal 22 giugno:

Giova premettere sul piano sistemico, richiamando e ribadendo gli approdi cui è pervenuta la Sezione con sentenza 3 febbraio 2020 n.11 che ha delineato un’actio finium regundorum tra “attività libero-professionale” (vietata ai professori universitari a tempo pieno dall’art.6, co.9, l. n.240) e “consulenza” (invece consentita in base al plurichiamato art.6, co10, l. n.240), che una attività è qualificabile o meno “libero-professionale” prendendo in considerazione, in generale e dunque anche ai fini del decidere, un dato fattuale basilare e due indici sintomatici:

a) il dato fattuale basilare è dato della frequenza temporale dell’attività consulenziale svolta con continuità, assiduità e sistematicità nell’anno solare e/o in più anni, tale da diventare abituale e dunque “professionale”, ovvero un ulteriore “lavoro stabile”, talvolta addirittura primario, ancorchè autonomo; questa interpretazione è confermata dall’art. 2, comma 6, legge n. 247/2012, che riserva a chi sia iscritto nell’albo professionale degli avvocati solo le consulenze legali svolte in modo “continuativo, sistematico, ed organizzato”, dunque solo le consulenze svolte “professionalmente”;

b) l’indice sintomatico reddituale dell’importo della attività svolta, se da attività extralavorative si consegue un reddito superiore a quello derivante dall’impiego pubblico da professore (elemento indicativo, anche se atomisticamente non fondante in via esclusiva, potendosi svolgere anche una sola consulenza spot annua, ma di importo rilevantissimo, correlato alla rilevante qualificazione del professore e alla complessità del parere o della consulenza). Assolutamente irrilevante è invece il parametro dell’applicazione della c.d. gestione separata INPS di cui all’art. 2, comma 26 della Legge n. 335/95 (superando i 5.000 euro annui), che nulla dimostra in merito all’assiduità o alla prevalenza della libera professione sull’attività didattica a tempo pieno, posto che trattasi di norma sul trattamento previdenziale il cui tetto può essere superato anche con una sola prestazione occasionale annua (in terminis C.conti, sez.Emilia Romagna n.292/2018);

c) l’indice sintomatico della apertura di partita IVA (elemento meramente indicativo, anche se in sé non fondante in via esclusiva, potendosi aprire partita IVA per attività occasionali, quali poche consulenze o poche docenze). Questa Corte ha più volte ribadito che la professionalità dell’attività non è desumibile dalla mera tenuta di una partita IVA, ma dal suo consapevole e abituale utilizzo per lo svolgimento di una attività libero professionale, cioè non meramente occasionale (cfr. C.conti, sez.III app., 23.10.2019 n.198; id., sez.Emilia Romagna n.150 del 2017; n. 204 del 2017, n. 209 del 2017 e n. 210 del 2017)

La Sezione d’Appello per la Sicilia (sentenza n. 64/2020), citando due note interpretative del MIUR, sembra “ampliare” leggermente il concetto di consulenza permessa, ponendo come limite “l’assenza di un’organizzazione di mezzi e di persone”. Quindi in questo caso non si pone l’accento sulla frequenza dell’attività, sugli importi ricavati, ma solo sull’organizzazione (o meno) posta in essere dal professionista, come unico criterio discriminante tra “consulenza occasionale” e “consulenza professionale”:

Va, altresì, rammentato che il Dipartimento per la Formazione Superiore e per la Ricerca del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, rispondendo a specifici quesiti pervenutigli, ha avuto modo di pronunziarsi in maniera chiara ed approfondita (v. le note n.1370 del 18.6.2019 e n.39 del 14.5.2018) sulle problematiche interpretative scaturenti dalla nuova normativa contenuta nell’art. 6 della L. n.240/2010, evidenziando che:

essa consente ai professori universitari a tempo pieno, compatibilmente con l’osservanza dei loro obblighi istituzionali, il libero espletamento di talune attività extraistituzionali, tra cui le consulenze retribuite in favore di soggetti privati, di enti pubblici e per fini di giustizia;

tali attività possono essere svolte anche da soggetti titolari di partita I.V.A. ma a condizione che non sia richiesta l’iscrizione ad albi professionali (se non nei limiti in cui sia consentita l’iscrizione all’Albo ai docenti a tempo pieno) e, in ogni caso, in assenza di un’organizzazione di mezzi e di persone a ciò appositamente preordinata;

la consulenza va, comunque, intesa quale attività del docente finalizzata a fornire a terzi soluzioni, consigli e pareri, in veste di esperto in una materia di propria specifica conoscenza e competenza.

Altro elemento importante evidenziato quindi in questa pronuncia è che l’attività di consulenza si deve sostanziare nel fornire pareri professionali.

Anche la Terza Sezione Centrale d’Appello riprende tali concetti nella sentenza n. 135/2021

In particolare, nel precitato Atto di indirizzo (n. 39 del 14 maggio 2018 ed una risposta in data 18 giugno 2019), sono individuati i presupposti necessari affinché la consulenza prestata dal docente a tempo pieno rientri nella nozione di cui all’art. 6, comma 10, della legge n. 240 del 2010 : prestazione resa a titolo personale, non in forma organizzata, e a carattere non professionale, di natura occasionale e dunque non abituale ma saltuaria; prestazione di un’opera di natura intellettuale, non caratterizzata dal compimento di attività tipicamente riconducibili alle figure professionali di riferimento; prestazione resa in qualità di esperto della materia; attività del docente tesa a fornire a terzi soluzioni, consigli e pareri nel ruolo di esperto su materie di propria conoscenza e competenza .

Anche la Seconda Sezione Centrale d’Appello ha ribadito i concetti già evidenziati con la recente sentenza n. 172/2023

Tale attività, rimane vietata anche all’indomani della legge Gelmini il cui art. 6, comma 9 (“L’esercizio di attività libero-professionale è incompatibile con il regime di tempo pieno”), non ha fatto altro che ribadire il divieto già sancito dall’art. 11 del d.P.R. n. 382/1980. Diversamente opinando, “se si desse un’interpretazione più estensiva della normativa, un docente a tempo pieno sarebbe libero di fare qualsiasi attività genericamente definita “di consulenza” retribuita con il pubblico e con il privato, anche in maniera continuativa, il che sarebbe in aperto contrasto con lo spirito dello stesso comma 10 e, in particolare, con il richiamato comma 9” (v. Sez. 1^ app. n. 457/2021).

….Ciò implica, che la consulenza, per essere liberamente esercitabile, da un lato, deve essere svolta in maniera occasionale; 

dall’altro, deve avere il contenuto di una prestazione di opera intellettuale, non caratterizzata dal compimento di attività tipicamente riconducibili alle figure professionali di riferimento, né può comprendere prestazioni a carattere strumentale o esecutivo” (v. Sez. 3^ app. sent. n. 95/2022; Sez. 2^ app. n. 147/2022).

Le coordinate ermeneutiche individuate dalla giurisprudenza contabile, quindi, restringono la consulenza ammissibile a quella avente carattere scientifico, il cui contenuto, cioè, consiste in una prestazione di opera intellettuale resa da un esperto nel proprio campo disciplinare, in modo non organizzato, non implicante lo svolgimento di attività tipicamente riconducibile alle figure professionali di riferimento, non comprensiva di prestazioni a carattere strumentale o esecutivo e che si chiuda con una relazione, un parere, uno studio. Le consulenze, comunque, devono essere svolte in modo occasionale, non abituale, né continuativo.  

Dal rapido excursus delle poche sentenze citate, si evince che la novella legislativa non rivoluziona l’impianto della “Legge Gelmini”, ma, piuttosto, interviene quasi esclusivamente in via interpretativa (espressa e non) soprattutto per “cristallizzare” gli ultimi approdi giurisprudenziali delle Sezioni di Appello, quasi a voler evitare altre interpretazioni delle sezioni giurisdizionali regionali che facevano riferimento ad altri criteri per distinguere tra consulenza “occasionale” e “professionale”, quali, per esempio, gli importi ricavati.

Da quanto sopra, quindi, in sintesi possiamo evidenziare che gli indici che il legislatore ha ritenuto utili per tracciare il discrimine, sono:

  • attività senza organizzazione di uomini e di mezzi;
  • attività a carattere scientifico (pareri, relazioni, ecc..) con esclusione di ogni attività di carattere esecutivo.

Resta ferma e non abrogata l’incompatibilità (oltre che con l’esercizio di attività libero professionale anche) con l’esercizio del commercio e dell’industria.

In ultimo, ma non per importanza, si sottolinea il richiamo del legislatore ai limiti riguardanti i compensi “a carico della finanza pubblica”, che complessivamente considerati in un anno, non possono superare i 240.000 euro. Per fare un esempio, se un professore percepisce 120.000 euro dall’Università, potrà percepire “a carico della finanza pubblica” nel medesimo anno “solo” altri 120.000 euro, non di più.

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