Se l’istanza di accesso non ha ad oggetto le c.d. “informazioni ambientali”, si applica la ben più restrittiva norma di cui all’art. 22 L 241/1990

Consiglio di Stato, sentenza n. 7932 24 agosto 2023

Coglie nel segno la difesa del Comune allorquando evidenzia che l’interesse ambientale che avrebbe dovuto sorreggere l’istanza è incerto: e ciò in quanto la richiesta di accesso esula dal novero delle c.d. «informazioni ambientali» concernenti lo stato dell’ambiente e i fattori potenzialmente incidenti su di esso, sulla salute e sulla sicurezza ambientale (rumore, radiazioni, emissioni, odori), riguardando soltanto dati relativi alla gestione del demanio marittimo.

In ordine a questo decisivo profilo, nelle proprie difese il Comitato appellante fonda la propria istanza di conoscenza dei documenti e degli atti richiesti sull’ampia portata del diritto d’accesso alle informazioni relative all’ambiente in possesso delle pubbliche autorità, ai sensi del più volte richiamato decreto legislativo del 19 agosto 2005, n. 195, ribadendo innanzitutto (con il primo motivo) che per l’accesso alle informazioni ambientali non è richiesta la prova di un interesse attuale e concreto, secondo i principi valevoli per l’omologo istituto disciplinato dalla legge generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241.

In definitiva, correttamente la decisione impugnata ha respinto il ricorso in quanto l’istanza di ostensione ha ad oggetto esclusivamente gli atti concessori relativi alle spiagge libere attrezzate, mancando perciò ogni adeguata dimostrazione dell’esistenza di un diretto collegamento tra interesse ambientale e l’interesse addotto a sostegno dell’istanza di accesso.

Ad ogni modo, ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche alla luce dei generali principi relativi all’accesso ai documenti amministrativi di cui all’art. 22 della l. n. 241/1990 che regolano la fattispecie e stabiliscono presupposti più stringenti per valutare l’istanza di accesso rispetto a quanto previsto in materia di informazione ambientale.Ed infatti, come bene evidenziato dal primo giudice, il reperimento della mole di documenti richiesti postula un’attività di ricerca, collazione ed elaborazione da parte degli uffici “che, oltre ad essere incompatibile con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa, appare oltretutto finalizzata all’esercizio di un controllo generalizzato sull’azione dell’ente locale in materia di gestione dei beni demaniali”.

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