L’alienazione illecita di immobili di pregio costituisce danno erariale, che può essere determinato, però, in via equitativa

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, sentenza n. 144 del 30 agosto 2023

La Guardia di finanza ha esposto gli esiti della verifica sulla gestione del patrimonio immobiliare dell’ente Y nell’ultimo quinquennio, segnalando un presunto danno erariale pari ad euro 2.891.820,00, causato dalla asserita illecita e dannosa dismissione di 9 cespiti di pregio.

Secondo quanto riportato, era emersa la volontaria e consapevole disapplicazione della normativa pubblicistica per la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici da parte dei vertici dell’Ente, al fine di favorire deliberatamente una trattativa diretta con alcuni soggetti privati con posizione di rilievo nella vita politica e pubblica milanese e nazionale, per l’acquisto di immobili di pregio da questi stessi condotti in locazione a prezzi inferiori al valore di mercato, e conseguente danno per le casse dell’Ente.

Il procedimento penale ha evidenziato che l’intero procedimento seguito dall’ente Y nell’alienazione degli appartamenti descritti nei capi di imputazione, appartamenti di particolare pregio, era finalizzato a far ottenere ai locatari dei suddetti immobili, esponenti di spicco del mondo politico-amministrativo lombardo, la possibilità di acquistare a prezzi estremamente favorevoli, a detrimento dell’ente e dunque della collettività.

Trovano così una spiegazione i vari atti procedurali compiuti che paiono, se isolatamente considerati, irrazionali, ma sono in realtà concatenati e finalizzati al raggiungimento del fine illecito di cui sopra (individuazione dei locatari\acquirenti in base a non trasparenti criteri di appartenenza politica; concessione ai locatari delpreventivo diritto di prelazione; applicazione di ingiustificati “sconti”).

Così evidenziati e stigmatizzati i profili di illegittimità nelle procedure di alienazione degli immobili oggetto dei capi di imputazione, le pronunce del Giudice penale hanno altresì messo in rilievo il concorso causale degli imputati, e odierni convenuti, nelle condotte illecite.

Il principale responsabile è X, il quale, in sede di adozione delle delibere adottate nella seduta del CDA su proposta della Direzione Gestione Patrimonio da Reddito, ha inserito all’interno delle “varie ed eventuali”, quindi senza che l’argomento fosse stato preventivamente posto all’ordine del giorno, una modifica di estremo rilievo alle procedure di alienazione immobiliare tesa a consentire agli inquilini l’esercizio del diritto di prelazione senza che prima fosse necessario indire l’asta pubblica, corredando altresì la proposta con un parere di legali esterni, reso frettolosamente nello spazio di 5 giorni a cavallo del ponte di S. Ambrogio, e senza che fosse interpellato il servizio legale interno del Y: ciò nell’evidente intento di influenzare il Consiglio per indurlo all’approvazione di tali modifiche (cosa in effetti avvenuta).

Inoltre il X ha omesso di sottoporre al Consiglio altro parere legale, divergente rispetto al primo e pervenuto in data 14.04.2008 all’Ufficio di Presidenza, peraltro dopo la stipula del rogito (in tempi anormalmente rapidi) relativamente alle prime due compravendite,

La sentenza della Corte di Appello ha altresì evidenziato come il X si interessasse in maniera assai incisiva degli immobili da porre in vendita, tanto da portare alle dimissioni del funzionario a ciò incaricato; che l’invito ad esercitare la prelazione era stato rivolto solo ad alcuni soggetti di rilievo nella realtà politico-amministrativa lombarda, ben noti al Presidente; che almeno in un caso l’inserimento dell’immobile in quelli da alienare con la procedura modificata era avvenuta su espressa sollecitazione dell’inquilino stesso; che il X era il “padre” della nuova procedura di alienazione degli immobili sopra descritta, tanto che, in almeno due casi gli inquilini avevano indirizzato direttamente a lui, e non agli uffici competenti, la loro manifestazione di interesse all’acquisto.

Riguardo alla determinazione del quantum del danno, tuttavia, nemmeno il criterio proposto dalla Procura contabile è, nella sua assolutezza, accoglibile, non potendosi dimostrare che il prezzo individuato dall’Agenzia del territorio, senza decurtazioni, sarebbe stato accettato dai soggetti interpellati, i quali avrebbero dovuto procedere all’acquisto corrispondendo mediamente un importo superiore del 20-30% rispetto a quello effettivamente pagato.

Ad avviso del Collegio il danno erariale, da determinarsi in via equitativa avuto riguardo all’art. 1226 c.c., può ragionevolmente essere individuato nel 50% dell’importo quantificato dalla Procura, e quindi il “punto di equilibrio” può essere trovato nel valore intermedio rispetto agli importi richiesti dalla Procura secondo il metodo “differenziale”

La Corte, definitivamente pronunciando, condanna X al risarcimento in favore dell’ente Y, della somma di euro 1.257.578,50

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