Non sussiste una colpa della PA per l’applicazione di una norma poi dichiarata incostituzionale, nemmeno da “illecita funzione legislativa” (salvo che per violazione del diritto UE)

Consiglio di Stato, sentenza n. 8188 del 6 settembre 2023

Dirimente si appalesa l’insussistenza del requisito della colpa della P.A.Innanzitutto le parti hanno sollevato la questione relativa all’elemento soggettivo sotto due diversi profili:

– come colpa dell’apparato amministrativo per aver applicato una norma (l’art. 19, comma 3, della L.R. n. 7/2019) rivelatasi incostituzionale per violazione dell’art. 117 Cost.;

– come colpa del legislatore regionale per aver disatteso, ripetutamente, la normativa nazionale desumibile dagli artt. 8, 8-bis, 8-ter, 8-quater del d.lgs. n. 502/1992, incorrendo in ben tre sentenze di incostituzionalità delle disposizioni in materia di accreditamento istituzionale senza previa verifica sul fabbisogno, che hanno riguardato le diverse versioni della disciplina applicabile (sent. n. 36/2021; n. 195/2021 ed infine, n. 32/2023).

Per quanto concerne il primo aspetto ( colpa dell’apparato amministrativo), il Collegio condivide la tesi della Regione Puglia secondo cui non sussiste la colpa dell’apparato amministrativo della Regione per aver rilasciato l’accreditamento istituzionale facendo applicazione dell’art. 19, comma 3, della L.R. n. 9/2017, trattandosi di una norma regionale pienamente vigente.

Occorre considerare, infatti, che la determinazione impugnata in primo grado risale al 2019: a quella data non erano stati neanche paventati profili di possibile incostituzionalità dell’art. 19, comma 3, della L.R. n. 9/2017. Peraltro, neanche dopo le sentenze della Corte costituzionale n. 36/21 n. 195/21 la Regione avrebbe potuto ritenere inapplicabile tale disposizione, tenuto conto del suo chiaro tenore che non consentiva di addivenire ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma.

Ciò risulta chiaro dalla circostanza che la sentenza del TAR che ha fatto ricorso a tale strumento è stata riformata da questa Sezione, sostenendo che la norma nella sua chiarezza, non consentiva una interpretazione difforme da quella letterale.

La stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 32/2023 ha condiviso la tesi del giudice a quo, provvedendo ad esaminare la questione di costituzionalità, ritenendola fondata.

Risulta quindi evidente che, fino alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, non sussiste alcuna colpa in capo all’apparato amministrativo regionale, ricorrendo palesemente un’ipotesi di “errore scusabile”, ai sensi della costante giurisprudenza in materia, secondo cui non sussiste la colpa della P.A. in caso di applicazione di una norma successivamente dichiarata incostituzionale (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 18 gennaio 2017, n. 190; Cons. Stato, Sez. VI, 4 febbraio 2014, n. 524; Cons. Stato, Sez. III,10 luglio 2014, n. 3526).

Quanto al secondo aspetto, correttamente la Regione ha richiamato i principi che la giurisprudenza ha evidenziato in relazione all’insussistenza della responsabilità derivante dall’attività legislativa, ricordando che la Corte di Cassazione (cfr., ex multis, sent. n. 23730/2016) ha costantemente ribadito che “a fronte della libertà della funzione politica legislativa (art. 68 Cost., comma 1, art. 122 Cost., comma 4), non è ravvisabile un’ingiustizia che possa qualificare il danno allegato in termini di illecito, e arrivare a fondare il diritto al suo risarcimento”.

Invero, sin dalla pronuncia n. 9147 del 2009, le SS.UU. hanno stabilito che debba escludersi radicalmente qualsiasi diritto soggettivo dei cittadini al corretto esercizio del potere legislativo, poiché questo si caratterizza per essere assolutamente libero nei fini e, dunque, sottratto a qualsiasi sindacato giurisdizionale, e come tale inidoneo ad integrare alcuna responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c. D’altro canto, l’efficacia retroattiva delle sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma non vale a far ritenere illecito il comportamento realizzato, in epoca antecedente alla sentenza di incostituzionalità, conformemente alla norma poi dichiarata illegittima, non potendo detto comportamento ritenersi caratterizzato da dolo o colpa, “con la conseguenza che il diritto al risarcimento del danno può essere fatto valere non dalla cessazione del rapporto bensì per il solo periodo successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale…” (vedi, in tal senso, Cassazione civile sez. lav. – 13 novembre 2018, n. 29169).

La Suprema Corte di Cassazione Civile (Sez. lav., sent. n. 34465/2019) ha ribadito che “la funzione legislativa è espressione di potere politico, incoercibile e sottratto al sindacato giurisdizionale, e pertanto rispetto all’esercizio del potere non si possono configurare situazioni giuridiche soggettive dei singoli protette dall’ordinamento” (cfr. pure Cass. n. 23730/2016 che richiama Cass. S.U. n. 10319/2016 e Cass. S.U. n. 10416/2014 quanto all’insindacabilità degli atti politici), per cui “non è ipotizzabile che dalla promulgazione della legge possa derivare un danno risarcibile, perché l’eventuale pregiudizio subito dal singolo non può essere ritenuto ingiusto, neppure nei casi in cui la norma venga poi espunta dall’ordinamento, perché in contrasto con la Carta Costituzionale; (…) sicché il comportamento che l’autorità governativa abbia nella specie adottato al riguardo, è inidoneo a provocare la lesione di situazioni giuridiche soggettive (sia di diritto soggettivo che di interesse legittimo), ed è pertanto sottratto ad ogni sindacato giurisdizionale” (Cass. S.U. n. 124/1993; cfr. anche Cass. Sez. III, 22 novembre 2016, n. 23730).

In quest’ultima sentenza, in particolare, la Corte di Cassazione si è pronunciata con riferimento ad una fattispecie nella quale la Regione aveva adottato norme successivamente dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale per violazione dell’art. 117, comma 2, lett. s), e comma 3, della Carta, perché invasive della competenza legislativa statale.

La Corte di Cassazione, ha respinto la prospettazione di parte, secondo cui la descritta fattispecie sarebbe sussumibile nel medesimo schema ricostruttivo della violazione, da parte del legislatore statale, dei vincoli derivanti dall’ordinamento sovranazionale comunitario, con ripetibilità dei presupposti di responsabilità quali individuati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenze 10 novembre 1991 “Francovich”, cause riunite C-6/90 e C-9/90, e soprattutto 5 marzo 1996 “Brasserie du pecheur” e “Factortame” cause riunite C-46/93 e V-48/93). In entrambe le ipotesi, infatti, vi sarebbe violazione della fonte sovraordinata, ferma la verifica, a valle, degli altri presupposti risarcitori.

La Suprema Corte ha quindi ritenuto che ricorre, in quel caso, “lo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario, connotato da primazia rispetto a quello del singolo Stato membro, ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno (Sez. U., n. 9147 del 2009, Rv. 607428, e succ. conf. quale Sez. 6-3, n. 307 del 2014, Rv.629469)

Di fatto, la Corte di Cassazione ha precisato l’esclusione di una responsabilità per atti legislativi, e ne è stata individuata altra diversamente fondata sulla “sovraordinazione gerarchica tra ordinamenti prima che tra fonti”; ha quindi aggiunto che “la fattispecie qui in esame, al contrario, non permette di individuare la suddetta distinzione tra ordinamenti, tali non potendo considerarsi, dal punto di vista dell’unitario ordinamento nazionale, quello derivante dalle leggi statali e quello enucleabile dalla legislazione regionale”.

Dal che consegue che, a fronte della libertà della funzione politica legislativa (art. 68 Cost., comma 1, art. 122 Cost., comma 4), non è ravvisabile un’ingiustizia che possa qualificare il danno allegato in termini di illecito, e arrivare a fondare il diritto al suo risarcimento quale esercitato nel presente giudizio.

L’impostazione della Suprema Corte è condivisa da questo Consiglio di Stato (vedi tra tante, Cons. St., sez. V, n.1862/2015). Ne consegue che la prospettazione dell’appellante incidentale, diretta a denunciare la colpa della Regione per aver introdotto una norma incostituzionale, ipotizzando la sua responsabilità aquiliana, non può trovare accoglimento.

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