L’atteggiamento “stressogeno” del superiore è sempre un fatto illecito, che deve essere risarcito; in assenza della reiterazione è straining e non mobbing

Corte di Cassazione, sentenza n. 29101 del 20 ottobre 2023

La Corte di appello ha accertato la dequalificazione commessa ai danni del lavoratore ma ha escluso il mobbing per mancata prova della reiterazione della condotta riferita ai singoli fatti mobbizzanti

Così facendo però la Corte non ha fatto buon governo delle regole di diritto che vengono in rilievo in relazione alla tutela della personalità morale del lavoratore essendo oramai risalente l’orientamento (Cass. n. 3291 del 19 febbraio 2016) secondo cui, al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta in questa materia è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex art. 2087 c.c. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell’ordinamento (la sua integrità psicofisica, la dignità, l’identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica)

E’ invero è noto l’orientamento costante di codesta Suprema Corte (sent. n. 18164/2018, n. 3977/2018 n. 7844/2018,12164/2028, 12437/2018, 4222/2016) , secondo cui lo straining rappresenti una forma attenuata di mobbing perché priva della continuità delle ma sempre riconducibile all’art. 2087 cod. civ., sicché se viene accertato lo straining e non il mobbing la domanda di risarcimento del danno deve essere comunque accolta (Cass. 29 marzo 2018 n. 7844, Cass. 10 luglio 2018 n. 18164, Cass. 23 maggio 2022 n.16580, Cass. 11 novembre 2022 n. 334248)

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