Il TAR Lazio ha sospeso l’adempimento relativo al titolare effettivo, ma è il problema è “europeo”: la trasparenza non è un buon motivo per limitare la privacy

E’ di questi giorni la notizia della sospensione da parte del TAR Lazio dell’efficacia del decreto 29 settembre 2023 del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, recante “Attestazione dell’operatività del sistema di comunicazione dei dati e delle informazioni sulla titolarità effettiva”. La scadenza per adempiere era fissata all’11 dicembre c.a.

Tale sospensione, però, ha origine “europee”. Infatti la Corte di Giustizia Europea (Grande Sezione), con sentenza del 22 novembre 2022 ha dichiarato l’articolo 1, punto 15, lettera c), della direttiva (UE) 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo è invalido in quanto  prevede, nella sua versione così modificata, che gli Stati membri provvedono affinché le informazioni sulla titolarità effettiva delle società e delle altre entità giuridiche costituite nel loro territorio siano accessibili in ogni caso al pubblico.

Nel dettaglio, la Corte (nella composizione della Grande Sezione) ha stabilito che:

  • l’accesso del pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva, previsto dall’articolo 30, paragrafo 5, primo comma, lettera c), della direttiva 2015/849 modificata, costituisce una grave ingerenza nei diritti fondamentali sanciti agli articoli 7 e 8 della Carta (v., per analogia, sentenza del 1° agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 105).
  • il principio di trasparenza, quale risulta dagli articoli 1 e 10 TUE nonché dall’articolo 15 TFUE, non può essere considerato, in quanto tale, come un obiettivo di interesse generale idoneo a giustificare l’ingerenza nei diritti fondamentali garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta derivante dall’accesso del pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva.
  •  per quanto riguarda il bilanciamento tra la gravità di tale ingerenza, e l’importanza dell’obiettivo di interesse generale di prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo, occorre considerare che, sebbene, tenuto conto della sua importanza, tale obiettivo sia idoneo a giustificare ingerenze, anche gravi, nei diritti fondamentali sanciti agli articoli 7 e 8 della Carta, resta il fatto che, da un lato, la lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo spetta prioritariamente alle autorità pubbliche nonché alle entità, quali gli enti creditizi o gli istituti finanziari, che, in ragione delle loro attività, sono assoggettate ad obblighi specifici in tale materia. Del resto, è per tale motivo che l’articolo 30, paragrafo 5, primo comma, lettere a) e b), della direttiva 2015/849 modificata prevede che le informazioni sulla titolarità effettiva debbano essere accessibili, in ogni caso, alle autorità competenti e alle unità di informazione finanziaria, senza alcuna restrizione, nonché ai soggetti obbligati, nell’ambito dell’adeguata verifica della clientela.

La questione era analoga a quella che è stata sollevata in Italia, in quanto riguardava il Registro Lussemburghese delle imprese, che aveva dato attuazione alla Direttiva Europea che, appunto, prevedeva di registrare e rendere noto al pubblico il nome del titolare effettivo delle imprese.

Analoga questione è stata sollevata dinanzi il TAR del Lazio, che, alla luce di tale pronunciamento, ha sospeso l’efficacia del decreto ministeriale italiano.

Molto interessante, in particolare, l’ultimo passaggio della Corte di Giustizia UE, in quanto sottolinea che la “trasparenza” non è idonea a giustificare la limitazione del diritto alla privacy, in quanto la lotta al riciclaggio del denaro è compito delle pubbliche autorità (che già hanno accesso a tali informazioni), e, quindi, la conoscibilità dei dati da parte del “pubblico” non aggiunge nulla alla lotta al riciclaggio.

Possiamo ben dire che sembra iniziata la demolizione del mito della trasparenza come strumento di lotta alla corruzione e, in genere, alla criminalità. L’osservazione è banale: tale lotta è di competenza delle autorità pubbliche, non dei singoli cittadini che si trasformano in novelli “Sherlock Holmes”.

A modesto parere dello scrivente, ci si è accorti di un altro banale dato: anche qualora il “cittadino” riuscisse a scoprire dei dati utili alla lotta alla corruzione e al riciclaggio, deve sempre rivolgersi ad un’autorità pubblica per interrompere e reprimere i reati, autorità pubblica che è già in possesso di quei dati analizzati dal cittadino.

Vedremo nel proseguio della giurisprudenza e della legislazione italiana ed europea il riflesso che avrà tale argomentazione che proviene, ricordo, da parte della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

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