In caso di incarichi dirigenziali illegittimi, la condotta è plurioffensiva e il sindacato ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale

Consiglio di Stato, sentenza n. 10627 del 7 dicembre 2023

L’organizzazione sindacale indicata in epigrafe agisce nel presente giudizio per la condanna dell’Agenzia delle entrate al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, da essa subiti «in conseguenza del consolidato sistema di organizzazione e gestione degli incarichi dirigenziali in favore di funzionari privi della qualifica dirigenziale, instaurato dall’Agenzia delle Entrate contra legem e contra costituzionem».

A fondamento della domanda risarcitoria il sindacato ricorrente deduce che l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione è stato già accertato nel precedente contenzioso tra le medesime parti, definitosi a favore della medesima organizzazione sindacale odierna appellante in forza delle seguenti sentenze (nell’ordine cronologico): 1° agosto 2011, n. 6884 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma; 17 marzo 2015, n. 37, della Corte Costituzionale; 6 ottobre 2015, n. 4641, di questo Consiglio di Stato, sezione IV.

Il Collegio ha statuito che la sentenza di primo grado va confermata nella parte in cui ha escluso che nella presente vicenda contenziosa siano ravvisabili pregiudizi di carattere patrimoniale propri dell’associazione sindacale ricorrente a causa dell’illegittima condotta datoriale da questa censurata. Difetta sul punto la prova che per effetto della medesima condotta l’organizzazione sindacale ricorrente abbia subito una riduzione di iscritti o una mancata adesione di potenziali interessati. Sul punto sono state infatti fornite solo generiche deduzioni, non supportate da dati specifici, che pure sarebbe stato possibile allegare e documentare.

Sono per contro fondate le censure nella parte in cui questa ha respinto la domanda di risarcimento dei pregiudizi di carattere non patrimoniale dell’associazione sindacale, riferibili alla sua sfera soggettiva, e nello specifico al suo ruolo, alla sua immagine presso la base lavorativa e alla sua attività di tutela degli interessi collettivi di questa. Per questa parte ricorrono tutti gli elementi di costitutivi della responsabilità da illecito ex art. 2043 cod. civ. dell’amministrazione pubblica, nell’esercizio della sua attività istituzionale.

In primo luogo ricorre l’elemento oggettivo dato dall’illegittimità di atti, provvedimenti e comportamenti riferibili al pubblico potere, in conformità al paradigma della responsabilità per l’illegittimo esercizio delle funzioni amministrative, enunciato in punto di giurisdizione dall’art. 7, comma 1, del codice del processo amministrativo. Come si deduce a fondamento della domanda, l’elemento oggettivo in questione è stato accertato con effetto di giudicato nel precedente contenzioso, sul cui esito si fonda la presente domanda risarcitoria.

Contrariamente a quanto statuito dalla sentenza di primo grado e a quanto sostiene l’amministrazione resistente, ricorre inoltre l’elemento soggettivo della colpa. La colpa dell’Agenzia è ravvisabile proprio nell’adozione di una disciplina regolamentare in contrasto con il principio costituzionale del pubblico concorso (art. 97, comma 4, Cost.). La natura di atto generale del regolamento di amministrazione non esime infatti l’ente che lo ha adottato dall’addebito di responsabilità per illegittima attività provvedimentale. Ad essa è pacificamente riconducibile anche l’attività normativa di organizzazione interna dell’amministrazione – prerogativa afferente alla sua posizione di supremazia rispetto ai soggetti posti alle sue dipendenze – riconducibile dunque all’esercizio di pubblici poteri ad essa attribuiti dalla legge e che a questa si deve conformare.

In relazione a quanto esposto in sede di esame del primo motivo d’appello, va sul punto precisato che l’istituzionalizzazione di una prassi contraria alla Costituzione, attraverso norme interne con essa contrastati, si traduce infatti in una condotta plurioffensiva, idonea a ledere non solo l’aspirazione del singolo lavoratore, titolato quindi ad agire in proprio, come in precedenza esposto, ma il ruolo stesso del sindacato quale ente esponenziale della relativa collettività, perché posto nella condizione di non potere assicurare il rispetto dei poc’anzi menzionati meccanismi di progressione interna di carriera di stampo concorsuale, atti a porre la base lavorativa in condizioni di parità. Come la condotta in questione ha dato luogo al giudizio di annullamento degli atti di assegnazione degli incarichi dirigenziali senza concorso, in cui è stata riconosciuta la legittimazione attiva dell’organizzazione sindacale odierna appellante, così questa è pertanto titolata a vantare una lesione causalmente correlabile alla condotta datoriale accertata come illegittima nel precedente contenzioso, e riferibile in via esclusiva alla sfera dell’ente collettivo.

La lesione è pertanto qualificabile antigiuridica perché incidente sull’interesse costituzionalmente protetto all’attività sindacale (art. 39 Cost.). Sotto il profilo ora evidenziato esso è dunque fonte di responsabilità per i danni di carattere non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ., secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità (per tutte: Cass., SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972).

In conformità a quest’ultima, per la liquidazione del danno deve seguirsi un criterio di carattere equitativo ex artt. 1226 e 2056 cod. civ., che nel caso di specie, in assenza di elementi concreti sulla rappresentatività del sindacato ricorrente, cui nondimeno si contrappone l’assenza di contestazione da parte dell’Agenzia delle entrate sulla sua presenza all’interno dell’ente, si ritiene congrua la somma, a valori attualizzati dall’epoca in cui la lesione si è consumata, risalente al concorso finalmente indetto nel 2014 dall’amministrazione, di € 30.000,00

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