Alla condanna dell’azienda sanitaria per malpractice medica, non consegue sempre l’obbligo risarcitorio del medico

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Campania, sentenza n. 31 del 19 gennaio 2024

Con atto di citazione la Procura esercitava l’azione di responsabilità amministrativa nei confronti di un medico per il risarcimento del danno erariale indiretto, costituito dalla somma di euro 596.661,08 erogata dall’Azienda Ospedaliera a seguito della condanna riportata in sede civile.

Anche se la vicenda che ha dato origine al presente giudizio per responsabilità amministrativa ha la stessa matrice fattuale del parallelo giudizio civile conclusosi con la citata sentenza di condanna della amministrazione sanitaria, i due giudizi si muovono su piani distinti, in quanto finalizzati a regolare rapporti giuridici soggettivamente ed oggettivamente diversi, e diversi sono i parametri normativi cui essi fanno riferimento.

Ne discende che non possono essere confusi i presupposti legali della responsabilità civile con quelli della responsabilità amministrativa in quanto, anche se l’inadempimento di doveri d’ufficio da parte di un funzionario è causa sia di danni a terzi sia (indirettamente) di danni all’erario (a seguito del risarcimento ai terzi danneggiati) l’obbligo risarcitorio civile che l’amministrazione ha verso i terzi – che può al limite fondarsi anche su colpa presunta – resta giuridicamente autonomo dall’obbligo risarcitorio che il funzionario ha verso l’Ente di appartenenza per i danni cagionati al terzo. Tale obbligo, ai sensi dell’art. 1, comma 1, l. 20/94, presuppone pur sempre una colpa in concreto (stante la necessaria personalità della colpa che esclude la colpa presunta ex lege) connotata da “gravità”.

Inoltre, nei casi di responsabilità medica, la valutazione della sussistenza del nesso fra evento dannoso e condotta giuridica si è oramai attestata sul criterio elaborato dalla giurisprudenza della Cassazione civile e condiviso dalla giurisprudenza della Corte dei conti (tra le altre, Sez. II appello, n. 45/2022) secondo cui il nesso eziologico deve essere valutato in ragione “dell’alto o elevato grado di credibilità razionale“ o della “probabilità logica”; criterio cui si contrappone quello utilizzato in ambito penalistico “della probabilità prossima alla certezza” (cfr. Cass. pen SS.UU. n. 30328 del 10 luglio 2022).

Infatti, “come chiarito anche dalle SS.RR. della Corte dei conti nella sentenza n. 28 del 18 giugno 2015 (seppure in termini di inquadramento della questione di massima prospettata), nel giudizio giuscontabilistico, ove – al pari del processo civile – gli effetti della decisione giudiziaria si riflettono esclusivamente sul patrimonio e non anche sulla libertà personale del soggetto convenuto (come nel giudizio penale), il giudice, per affermare la sussistenza del nesso causale deve fare uso della regola del “più probabile che non”. Secondo l’organo di nomofilachia contabile, infatti, “la differente natura dei valori in gioco nei due tipi di processo (libertà e patrimonio) segna l’essenziale distinzione tra il processo penale e quello civile, che è – come detto – la regola probatoria. Nel processo penale, infatti, vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (art. 533 c.p.p.; cfr. Cass. pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese); nel processo civile vige la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non” (artt. 115 e 116 c.p.c.; in questo senso v.: Cass. 16.10.2007, n. 21619; Cass. 18.4.2007, n. 9238; Cass. 5.9.2006, n. 19047; Cass., 13/07/2006, n. 295; Cass. 4.3.2004, n. 4400; Cass. 21.1.2000 n. 632; Corte giustizia CE, 15/02/2005, n. 12), giudizio che si basa sugli elementi di convincimento disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana), la cui attendibilità va verificata sulla base dei relativi elementi di conferma”. (Corte dei conti, SS.RR. sentenza n. 28/QM/2015)”. (Corte dei conti, SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO, SENTENZA n. 169 del 19/06/2023).

Ciò precisato, alla luce degli elementi di convincimento che scaturiscono dal quadro probatorio offerto dalla Procura e pur applicando la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, si ritiene che non risulti provato il nesso causale tra la condotta posta in essere dal convenuto e il danno risarcito dall’azienda sanitaria.

Diversi sono gli elementi in tal senso ricavabili sia dallo stesso CTU incaricato in sede civile che dal CTP di parte convenuta. Meritevoli di attenzione appaiono le risultanze della CTU e della CTP allegata alla memoria del convenuto, in merito alla correttezza del trattamento praticato.

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