Il privato non può essere sottoposto ad libitum ai “ripensamenti” della PA circa la validità della concessione di un contributo

Consiglio di Stato, sentenza n. 688 del 22 gennaio 2024

Un’impresa ha partecipato alla procedura selettiva bandita dalla Regione Calabria con determina dirigenziale n. 7583 del 24 giugno 2014 per il finanziamento di progettualità relative a modelli abitativi “solidali”, è stata inserita nella graduatoria dei beneficiari di cui alla determina n. 13569 del 14 novembre 2014, sicché, con successivo provvedimento n. 16436 del 29 dicembre 2014, le è stato concesso il finanziamento, per un importo pari a euro 2.910.815,83, la cui erogazione in concreto era condizionata espressamente alla positiva verifica del possesso dei requisiti necessari. Successivamnente l’impresa, confidando sulla sostenibilità economica dell’investimento, dava seguito alla progettualità richiedendo ed ottenendo il necessario titolo edilizio dal Comune di Corigliano, nel cui territorio insiste il fabbricato de quo (permesso di costruire n. 11 del 20 aprile 2015)

In data 8 febbraio 2016 veniva comunicato l’avvio del procedimento di revoca del finanziamento concesso in quanto il titolo di proprietà presentato «non risulta essere registrato in linea con il requisito richiesto dal bando»; a ciò faceva seguito la revoca della concessione del contributo.

Nel merito, l’appello è fondato per le ragioni di seguito esplicitate.

Innanzi tutto, il Collegio ritiene necessario inquadrare il provvedimento adottato, denominato di “revoca” di un beneficio economico in precedenza concesso, ancorché non ancora erogato.

In relazione a tale ambito, di regola con il relativo nomen iuris il legislatore indica l’atto caducatorio, distinto dall’esercizio della vera e propria autotutela, col quale si dà attuazione al potere di vigilanza conferito strumentalmente all’amministrazione preposta all’elargizione di risorse pubbliche per finalità via via individuate come meritevoli dalla normativa di settore. I tratti distintivi della decadenza dagli incentivi per le energie rinnovabili disposta dalla Società gestrice dei relativi servizi (G.S.E.), in qualche modo contenutisticamente assimilabile, sono stati individuati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, distinguendoli per un verso dall’irrogazione della sanzione e per l’altro, appunto, dall’annullamento d’ufficio ex art. 21-novies della l. n. 241 del 1990 (Cons. Stato, A.P., 11 settembre 2020, n. 18). La revoca, infatti, consegue alla riscontrata necessità da parte della p.a. concedente di procedere al recupero o alla mancata liquidazione in concreto di erogazioni in generale, in particolare se si tratta di agevolazioni di diritto UE, erroneamente accordate in assenza del presupposto che le legittimava ab origine. Trattasi cioè dell’esercizio di un potere vincolato, che elide ex tunc il beneficio assentito sine titulo, sulla base del dato oggettivo della riscontrata violazione della normativa di regolazione del settore senza che ne rilevi lo stato soggettivo del beneficiario, emergendo quindi preminente l’esigenza per la pubblica amministrazione che neppure deve motivare specificamente le ulteriori ragioni d’interesse pubblico concreto e attuale o di comparazione con quello del debitore, anche quando questi sia in buona fede, circostanza destinata caso mai ad assumere rilievo in relazione al quomodo del recupero, non certo nell’an (cfr., in argomento, Cons. Stato, sez. VI, 23 novembre 2018, n. 6659 e 30 maggio 2017, n. 2614).

L’esercizio di tale potere, cioè, in quanto privo di spazi di discrezionalità perché non rivolto al riesame della legittimità di una precedente determinazione amministrativa di carattere provvedimentale, ma finalizzato al controllo circa la veridicità e la completezza delle dichiarazioni formulate da un privato nell’ambito di un procedimento volto ad attribuire sovvenzioni pubbliche, esula in radice dalle caratteristiche proprie degli atti di autotutela e dall’applicabilità dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990. A maggior ragione, non è configurabile alcun affidamento in capo al privato che abbia formulato dichiarazioni incomplete o non rispondenti all’effettivo stato dell’impianto e delle sue componenti, pur in assenza di ogni valenza penalistica di tale condotta.

Rileva tuttavia il Collegio come tali principi non possano non incontrare un limite nelle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche, e, soprattutto, nell’affidamento che il privato in buona fede ripone sulla correttezza dell’operato della p.a.  In sostanza, nel caso di esercizio del potere di disporre la decadenza o la revoca per assenza dei necessari presupposti degli incentivi, il legittimo affidamento presuppone che la causa di illegittimità o irregolarità – che ha portato all’esercizio del suddetto potere – non sia nota o comunque conoscibile sulla base dell’ordinaria diligenza dal privato che confida nella stabilità degli atti posti in essere dall’amministrazione. Nel caso di specie, la cronologia delle fasi procedimentali, una volta esclusa la declaratoria di circostanze false, depone nel senso della necessità di dare rilievo a tale affidamento, ingenerato proprio dalle modalità dei controlli posti in essere dalla Regione Calabria. Lo sviluppo del procedimento in senso formalmente rassicurante, infatti, conseguito proprio ad approfondimenti specifici sul punctum pruriens della controversia (la dimostrata disponibilità della titolarità del bene in conformità alle clausole contrattuali) non consente di ritenere il privato assoggettato ad libitum a ripensamenti circa la completezza ed adeguatezza dell’istruttoria effettuata.

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