Il blocco degli IP da parte di un’autorità statale: la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo.

Corte Europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 16 novembre 2020, Vladimir Kharitonov vs. Russia

In materia di blocco degli IP (cioè l’indirizzo su internet che identifica uno o più computer) per l’effetto del quale quel computer/server/sito web non risulta più raggiungibile, la Corte Europea dei diritti dell’uomo (c.d. CEDU, da non confondere con la Corte di Giustizia dell’Unione Europea) ha emesso poche, pochissime sentenze, di cui la maggiorparte sono state emesse in riferimento alla stessa fattispecie concreta, cioè il blocco dell’IP da parte delle autorità Russe. Un’altra serie di sentenze è stata emessa nei confronti della Turchia, per il blocco di alcuni contenuti su internet di propaganda politica non gradita al governo. Quindi, in sintesi, possiamo senz’altro concludere che tali misure di solito interessano Stati unanimemente riconosciuti come non democratici o con una democrazia debole.

In Italia dal 1° febbraio 2024 è attivo il c.d. Piracy shield, cioè una piattaforma su cui i soggetti che trasmettono contenuti protetti dai diritti di esclusiva (p.es.: le partite di calcio) possono chiedere l’oscuramento di un determinato indirizzo IP che sta trasmettendo illegalmente i medesimi contenuti. Il blocco avviene entro 30 minuti.

Il problema è che può avvenire che ad un indirizzo IP non corrisponda un solo sito web, ma diversi siti web che si avvalgono del medesimo fornitore. E’ accaduto in questi giorni, quindi, che siano stati bloccati indirizzi IP di siti perfettamente legittimi, con l’aggravante che chi ha visitato quel sito ha letto una schermata che informava che il sito era stato bloccato perchè trasmetteva contenuti illegali.

Difatti, il segnalante (cioè chi è trasmette legittimamente quei contenuti e comunica all’Autorità che vi è una trasmissione illegale) dichiara, sotto la propria responsabilità, che i nomi a dominio e gli indirizzi IP segnalati sono univocamente destinati alla violazione dei diritti d’autore.

Si comprende bene che un provvedimento di oscuramento di un sito web, inaudita altera parte e senza un provvedimento di un giudice terzo, pone seri problemi riguardanti la democraticità del sistema.

Vediamo quindi cosa ha stabilito, su una fattispecie analoga, la Corte dei diritti dell’uomo nella sentenza del 16/11/2020, caso di Vladimir Kharitonov vs. Russia.

Sintesi del caso Il caso riguarda il blocco dell’accesso al sito web di un cittadino a seguito di un ordine di blocco contro un altro sito web che aveva lo stesso indirizzo IP del sito web del richiedente.

Il cittadino, nato nel 1969 e residente a Mosca, è il direttore esecutivo dell’Associazione degli Editori Elettronici e co-fondatore dell’Associazione degli Utenti di Internet. È proprietario e amministratore del sito web Electronic Publishing News, che presenta una raccolta di notizie, articoli e recensioni sull’editoria elettronica.

Nel dicembre 2012, gli utenti di varie regioni russe hanno segnalato al ricorrente che l’accesso al suo sito web era stato bloccato dai loro fornitori di servizi Internet in riferimento a “una decisione dell’autorità russa competente”. Ha scoperto che l’indirizzo IP del suo sito web era stato inserito nella lista di blocco del regolatore delle telecomunicazioni russo (Roskomnadzor) a seguito di una decisione del Servizio Federale di Controllo delle Droghe datata 19 dicembre 2012. La decisione era intesa a bloccare l’accesso a un altro sito web, rastaman.tales.ru, che era anch’esso ospitato da DreamHost e aveva lo stesso indirizzo IP del sito web del richiedente.

Il soggetto in questione ha presentato ricorso al Tribunale, ha fatto appello alla Corte e ha chiesto pure l’intervento della Corte Costituzionale; tutti i ricorsi hanno avuto esito negativo.

Il cittadino quindi ha fatto ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo e si è lamentato che la decisione delle autorità russe di bloccare l’accesso al sito web incriminato mettendo in lista nera il suo indirizzo IP, aveva avuto l’effetto collaterale sproporzionato di bloccare l’accesso al suo sito web. Tale misura aveva violato i suoi diritti ai sensi dell’articolo 10 della Convenzione. 

Sintesi della decisione Il Governo ha resistito contro il ricorso sostenendo che il richiedente avrebbe potuto presentare un reclamo contro l’ISP o il fornitore di servizi di hosting, la cui mancata reazione all’avviso di Roskomnadzor aveva portato a una restrizione dei suoi diritti. Il richiedente ha sottolineato che la Russia aveva oltre 3.500 ISP in ottantatre regioni. Presentare un reclamo contro ciascuno di essi non era un rimedio efficace. Inoltre, i tribunali russi si sono rifiutati di effettuare una valutazione di proporzionalità dell’ordine di blocco.

I terzi intervenuti, ARTICLE 19 e la Electronic Frontier Foundation, hanno sostenuto che la maggior parte delle giurisdizioni europee permetteva agli ISP di contestare gli ordini di blocco a loro indirizzati, e pochi Stati fornivano esplicitamente alle vittime di blocco collaterale un rimedio.

La Corte nota sebbene il richiedente fosse in grado di avviare un procedimento per la revisione dell’ordine di blocco di Roskomnadzor e del suo effetto sul suo sito web, i tribunali russi si sono rifiutati di considerare il merito del suo reclamo.

C’è stata quindi una violazione dell’articolo 13 della Convenzione, preso in combinazione con l’articolo 10.

Per questi motivi, la corte, all’unanimità, ha dichiarato il ricorso ammissibile e ha ritenuto che ci sia stata una violazione dell’articolo 10 e dell’articolo 13 della Convenzione dei diritti dell’uomo.

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