Danno erariale da un project financing antieconomico e svantaggioso, caratterizzato dall’assenza di rischi per il concessionario

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per il Veneto, sentenza n. 30 del 15 aprile 2024

Con atto di citazione ritualmente depositato e notificato, la Procura Regionale ha convenuto in giudizio i soggetti per sentirli condannare al pagamento della somma complessiva di € 24.995.728,00 in favore della Regione del Veneto

Secondo il Requirente, la Regione del Veneto nel sottoscrivere la convenzione originaria e i successivi atti integrativi, avrebbe svilito la funzione del Project Financing ponendo in essere un’operazione antieconomica e del tutto svantaggiosa, caratterizzata, tra l’altro, dall’assenza dei rischi di domanda e di disponibilità a carico del concessionario. Del danno derivante dall’esborso per i crediti maturati dalla X in virtù della richiamata clausola, sono stati chiamati a rispondere dirigenti della Regione, il Presidente della Regione e l’assessore pro tempore.

Va, innanzitutto, considerato che la fattispecie di responsabilità contestata dalla Procura erariale con l’atto introduttivo di giudizio dev’essere ricondotta nell’ambito dello schema dei contratti di partenariato pubblico privato denominati di project financing o finanza di progetto, disciplinati ratione temporis dalla l. 18 novembre 1998, n. 415 (“Merloni-ter”), intervenuta a modificare ed integrare la legge 11 febbraio 1994 n. 109. In particolare, l’art. 11 della cit. l. n. 415/1998 aveva inserito nella legge-quadro alcuni articoli, 39 dal 37-bis al 37-novies, volti a consentire l’impiego del project financing nel settore delle opere pubbliche.

Fin dalle prime applicazioni e interpretazioni dello strumento negoziale della finanza di progetto, in linea con il diritto comunitario, si poneva quindi l’attenzione sul fatto che il diritto di gestione postulasse, da un lato, che il concessionario non fosse «direttamente remunerato dall’autorità aggiudicatrice», ma ottenesse da questa «il diritto di percepire i proventi derivanti dall’uso dell’opera realizzata», con «il trasferimento della responsabilità della gestione». Veniva più volte chiarito che il rischio economico doveva gravare sul concessionario e che, se l’amministrazione pubblica veniva a sopportare la maggior parte degli oneri finanziari connessi alla gestione «l’elemento rischio viene a mancare» e dunque si veniva a configurare «… un appalto pubblico di lavori e non una concessione». Tale schema contrattuale implica, poi, che la responsabilità della gestione «investe al tempo stesso gli aspetti tecnici, finanziari, e gestionali dell’opera. Spetta, pertanto, al concessionario, ad esempio, effettuare gli investimenti necessari perché l’opera possa utilmente essere messa a disposizione degli utenti e sopportare l’onere di ammortamento. Inoltre, il concessionario assume non soltanto i rischi inerenti ad una qualsiasi attività di costruzione, ma dovrà, altresì, sopportare quelli connessi alla gestione e all’uso abituale dell’impianto» (Commissione delle Comunità Europee, Comunicazione interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario). 

Tanto considerato, risulta di tutta evidenza che anche qualora si incida sull’originario assetto degli interessi di p.a. concedente e concessionario, mediante modifiche del progetto, della corresponsione di un contributo economico ad opera della amministrazione, della convenzione stessa, l’autonomia negoziale delle parti contrattuali risulta condizionata dal principio di equilibrio economico- finanziario. Tale principio, richiamato dalla giurisprudenza amministrativa presuppone che «la validità economico-finanziaria del progetto costituisca il presupposto dell’intera operazione di project financing» (Cons. Stato, sez. V, 23 marzo 2009, n. 1741) e che debba qualificare e presiedere ad ogni valutazione sulla effettiva e concreta redditività dell’operazione intrapresa quale attività di interesse pubblico (Cons. Stato, 15 settembre 2009, n. 5503).

In particolare, il piano finanziario deve rivestire un ruolo essenziale e centrale nella proposta di project financing e così le relative voci che concorrono a definirne l’equilibrio (Cons. Stato, Sez. V, 11 luglio 2002, n. 3916; T.A.R. Calabria, Catanzaro, 23 febbraio 2004, n. 449; T.A.R. Lombardia, Milano, 2 luglio 2001, n. 4729) e non è ammissibile la sottrazione del piano economico finanziario ad una seria valutazione di sostenibilità da parte della stazione committente; l’asseverazione bancaria, come rimarcato dall’Autorità di vigilanza nell’atto di regolazione n. 14 del 2001, «non può sostituire la valutazione amministrativa (come se fosse un atto amministrativo), ma ne costituisce un presupposto di partenza» (T.A.R. Campania, Napoli, 17 giugno 45 2004, n. 9571).

Anche le Linee Guida dell’ANAC n. 9, approvate con Delib. n. 318 del 28 marzo 2018 descrivevano più nel dettaglio le manifestazioni del rischio di domanda nell’ambito del project financing, individuando: – “il rischio di contrazione della domanda di mercato”, ossia di riduzione della domanda complessiva del mercato relativa al servizio, che si riflette anche su quella dell’operatore economico; – “il rischio di contrazione della domanda specifica o rischio concorrenza”, collegato all’insorgere nel mercato di riferimento di un’offerta competitiva di altri operatori che eroda parte della domanda.

In proposito, anche la Corte dei conti evidenziava come «la destinazione della finanza di progetto alle opere calde è riconosciuta indirettamente dal legislatore il quale, nel disciplinare la programmazione triennale, all’art. 128 del codice dei contratti pubblici, prescrive che “le amministrazioni aggiudicatrici individuano con priorità i bisogni che possono essere soddisfatti tramite la realizzazione di lavori finanziabili con capitali privati, in quanto suscettibili di gestione economica”, in tal modo escludendo le opere fredde» (Corte dei conti, sez. regionale controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione 19.1.2012, n. 5).

Sia con riferimento al rapporto costi/ricavi, che sul versante dell’incremento del rischio patrimoniale direttamente gravante a suo carico, per effetto della clausola di garanzia, contenuta nell’art. 19 dell’originaria convenzione, la Regione, oltre un’alea del 5%, era destinata, dunque, a rimborsare alla concessionaria il valore economico determinato dalla differenza tra i minori ricavi e le previsioni contenute nel Pef. In altri termini, “la situazione di strutturale squilibrio del Pef costituiva per la Regione un rischio finanziario elevatissimo, indeterminato e destinato a durare nel tempo”.

Il rischio gravante sulla Regione si manifestò ancor più chiaramente nei successivi eventi che condussero alla stipulazione della Transazione, dopo la mancata sottoscrizione di un Terzo Atto integrativo, come agevolmente evincibile dalle principali note di X con le richieste di applicazione delle penali.

Così delineato il contesto normativo e fattuale, il Collegio ritiene che, nella vicenda in esame, siano ravvisabili i presupposti necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione amministrativo-contabile nei confronti dei soli convenuti dirigenti all’epoca degli eventi, risultando legati all’Amministrazione regionale da un rapporto di servizio e devono ritenersi responsabili per aver tenuto una condotta antigiuridica, gravemente colposa, consistente nella violazione degli obblighi loro intestati in ragione del ruolo rivestito nell’ambito della propria amministrazione e di aver concorso al prodursi di un danno all’erario della Regione Veneto. 

Il Collegio ritiene che nella condotta della dott.ssa Y siano ravvisabili sia l’elemento soggettivo della colpa grave, sia l’antigiuridicità, per avere la stessa omesso, in violazione dei propri obblighi quale responsabile del procedimento, di considerare in modo adeguato le osservazioni espresse dagli organismi consultivi in relazione alla clausola dell’art. 19, al fine di predisporre uno schema di Concessione in linea con la normativa pro tempore vigente che imponeva che la controprestazione a favore del concessionario consistesse unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati (cit. art. 19, c. 2, l. 109/1994).

In altri termini, la convenuta, coinvolta nell’operazione di project financing dal suo esordio, era pienamente consapevole – fin dal momento della stipula della Convenzione e quindi ex ante – che si sarebbero potute concretamente realizzare, come già ampiamente rappresentato, condizioni di disequilibrio finanziario con attivazione della clausola contrattuale sfavorevole all’amministrazione regionale e in danno alla stessa.

Quanto alla sussistenza del pregiudizio erariale, questo va, dunque, ricondotto agli esborsi patrimoniali sostenuti dall’Amministrazione regionale in sede di transazione e versati a titolo di penale ex art. 19. Tuttavia, l’evolversi della vicenda con la sottoscrizione di atti integrativi (con cui si perveniva ad una ulteriore modifica della concessione e ad una estensione della clausola di garanzia dell’alea di cui all’art. 19 del contratto) e, infine, con la stipula di un accordo transattivo tra la Regione e il concessionario nel dicembre del 2016 (con espunzione della clausola di garanzia), induce il Collegio a quantificare il danno e a ripartirlo tra i soggetti nei cui confronti è ravvisabile la responsabilità contestata dalla Procura soltanto all’esito della disamina complessiva non solo delle posizioni dei convenuti, ma anche alla luce di un eventuale concorso di altri soggetti non evocati in giudizio al verificarsi del danno di cui è causa (art.1, c. 1-quater, l. n. 20/1994).

Il collegio ha quindi condannato a) Y al pagamento della somma di euro 135.000,00 in favore della Regione Veneto; b) Z al pagamento della somma di euro 121.500,00 in favore della Regione Veneto.

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