Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello, sentenza n. 309 del 11 luglio 2023
Il Procuratore regionale si soffermava sull’appalto che riguardava la realizzazione, per un importo complessivo di euro 381.942,57, di lavori straordinari in quattro strutture scolastiche. Secondo la prospettazione attorea dalla documentazione acquisita emergeva che i lavori previsti non erano stati eseguiti dall’impresa; che sia il “Registro di Contabilità”, composto da n. 24 pagine, che lo “Stato di Avanzamento Lavori n. 1 a tutto il 03.09.2012”, composto da n. 9 pagine, riportavano, tra i “lavori a misura”, un’elencazione di opere straordinarie non riferibili ad alcuna delle strutture scolastiche oggetto di intervento.
In via preliminare, il Collegio deve esaminare l’eccezione di prescrizione sollevata dall’arch. X secondo cui si tratterebbe di fatti risalenti all’anno 2006 per i quali non sussisterebbero gli estremi di un occultamento doloso, stante il sistema di controlli di cui sarebbe stato dotato il Comune di Roma Capitale.
L’eccezione si appalesa infondata.
In disparte la considerazione che non risulta fornita alcuna prova circa la effettiva sussistenza e piena idoneità del sistema di controlli interni di Roma Capitale affermata dall’appellante arch. X, osserva il Collegio che, nella vicenda all’odierno esame, l’azione contabile è stata esercitata, in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale sul punto, quando il fatto ha assunto una concreta qualificazione giuridica atta ad indentificare come presupposto di una fattispecie dannosa (Prima Sez. Giur. Centr. App., sent. n. 336/2022, Seconda Giur. Centr. App., sent. n. 252/2020 e n. 66/2020).
Tale momento, nella fattispecie, deve essere identificato, come chiarito anche dalla Sezione territoriale, all’atto della trasmissione della relazione prot. n. 55569/17 del 19 aprile 2017 redatta dal Nucleo Speciale Anticorruzione della Guardia di Finanza nella quale risultavano compendiate le indagini che disvelavano la sussistenza di un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di più delitti nel settore degli appalti di Roma Capitale e volta a trarre illeciti profitti dalla corresponsione di risorse pubbliche, a fronte di lavori mai eseguiti, vertendosi, quindi, in tema di doloso occultamento del danno.
Reputa, inoltre, il Collegio che, nella fattispecie in esame, non possa neppure prospettarsi la paventata violazione del principio del ne bis in idem dovendosi, invece, rammentare che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato non solo che la responsabilità per danno erariale non è equiparabile a quella penale, ma ha anche confermato la natura risarcitoria della responsabilità azionata dinanzi alla giurisdizione contabile (sentenza “Rigolio c. Italia” del 13 maggio 2014).
Ad avviso del Collegio, deve, inoltre, considerarsi il ruolo ricoperto dall’arch. X quale responsabile del procedimento e come tale tenuto a garantire il corretto e regolare svolgimento di tutte le fasi delle attività procedimentali afferenti ai pubblici appalti ed a vigilare sul pieno rispetto della normativa vigente.
Evidente risulta, quindi, il contributo causale fornito dagli appellati al verificarsi del danno ingiusto che è gravato sull’amministrazione di Roma Capitale per gli esborsi afferenti ad opere di manutenzione straordinaria mai realizzate, nonché per il danno da disservizio appena su richiamato e per danno da tangente, quest’ultimo, peraltro, comprovato dai relativi capi di imputazione della su richiamata sentenza penale irrevocabile e comunque idoneo a delineare una condotta concretamente lesiva.