La prova della dazione di denaro, è un indizio, ma non è sufficiente a provare la corruzione

Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 39020 dep 8 agosto 2017

Può senz’altro affermarsi l’insufficienza della sola dimostrazione della dazione di denaro od altra utilità onde inferire la sussistenza di un quadro di gravità indiziaria, relativamente all’ipotesi di reato prevista e punita dall’art. 319 cod. pen. In effetti, è principio più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte che, accanto alla dazione di denaro, il quadro indiziario deve dar conto che il compimento dell’atto contrario ai doveri di ufficio è stato la causa della prestazione dell’utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale (cfr., in particolare e da ultimo, Sez. 6, sent. n. 39008 del 06.05.2016, Rv. 268088; n. 5017 del 07.11.2011 – dep. 09.02.2012, Rv. 251867; n. 24439 del 25.03.2010, Rv. 247382).
Medesima valenza, inoltre, rivestono le affermazioni con cui si puntualizza che, ai fini della configurabilità del delitto di corruzione propria, deve escludersi l’esistenza di un accordo corruttivo quando l’atto contrario ai doveri di ufficio sia stato oggetto solo di una promessa indeterminata da parte del pubblico ufficiale, senza alcuna certezza di prestazioni corrispettive tra le parti (cfr. in tal senso Sez. 6, n. 3522 del 07.11.2011 – dep. 27.01.2012, Rv. 251561). Tanto si correla all’esigenza che la prova dell’accordo illecito, quale fatto tipico costituente il reato di corruzione propria, sia raggiunta in termini di certezza al di là del ragionevole dubbio: il paradigma normativo dell’art. 319 cod. pen. è esplicito, infatti, nel significare che la dazione indebita, dal corruttore al corrotto, deve essere finalizzata all’impegno di porre in essere, ovvero alla già effettuata realizzazione, di un atto/comportamento contrario ai doveri di ufficio da parte del soggetto munito di qualifica pubblicistica.
Ne discende che la prova della dazione indebita di una utilità in favore del pubblico ufficiale ben può costituire, logicamente, un indizio in tal senso, di per sé solo tuttavia insufficiente a dare contezza che essa sia preordinata al comportamento antidoveroso del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio): donde la necessità di un più robusto costrutto probatorio, che, in assenza di una prova diretta, si conformi al principio dettato dall’art. 192 co. 2 cod. proc. pen., in ambito indiziario.
Ciò posto, al “beneficiario” della illecita dazione spettava la formulazione di un pur non vincolante parere, prima della decisione finale.
Con l’opportuna precisazione dell’irrilevanza del richiamato carattere non vincolato dell’atto demandato al pubblico ufficiale: “Il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio può essere integrato anche mediante il rilascio di un parere non vincolante, allorché esso assuma rilevanza decisiva nella concatenazione degli atti che compongono la complessiva procedura amministrativa e, quindi, incida sul contenuto dell’atto finale” (così Sez. 6, sent. n. 21740 dell’01.03.2016, Rv. 266923).

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