Il protocollo di integrità deve essere interpretato secondo buona fede, e la sua violazione può dar luogo al recesso della stazione appaltante

TAR Lazio, sentenza n. 9274 del 9 agosto 2017

Reputa il Collegio che anche il Protocollo di Integrità debba essere interpretato secondo gli usuali criteri di ermeneutica contrattuale, tra i quali spicca quello dell’interpretazione secondo buona fede.
Se, infatti, gli imprenditori che partecipano alla gara per l’affidamento di una pubblica commessa si impegnano a segnalare alla stazione appaltante «qualsiasi illecito tentativo da parte di terzi di turbare o distorcere le fasi di svolgimento della procedura di affidamento», ovvero «qualsiasi illecita richiesta o pretesa da parte dei dipendenti dell’amministrazione o di chiunque possa influenzare le decisioni relative alla procedura di affidamento», a maggior ragione analogo onere di informazione sussiste nell’ ipotesi in cui tali comportamenti vengano imputati allo stesso concorrente, e abbiano, come nel caso di specie, portato all’adozione di misure cautelari personali, potenzialmente idonee ad incidere sulla partecipazione della gara in corso e sulla stipulazione del contratto.
Né, invero, a tale interpretazione si oppone il principio secondo cui “nemo tenetur se detegere” poiché, in definitiva, ciò che viene richiesto all’imprenditore coinvolto in una vicenda penale relativa alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione, è soltanto di informare la stazione appaltante in merito all’esistenza dell’imputazione e all’eventuale adozione di misure cautelari personali, non già di denunciare una propria condotta illecita (cfr., sul punto, Cons. St., sez. IV, sentenza n. 143 del 20.1.2015).
Orbene, nel caso di specie, la comunicazione relativa all’adozione della misura degli arresti domiciliari (disposti dall’A.G. in data 5 luglio 2016, dopo la scarcerazione), è stata effettuata soltanto l’8 novembre 2016, e quindi alcuni mesi dopo la nomina di un procuratore, avvenuta, secondo quanto riferisce la stessa difesa di parte ricorrente, in data 30.7.2016.
E’ ragionevole immaginare che tale comportamento abbia messo in difficoltà l’amministrazione capitolina, ormai da tempo alla ribalta mediatica per i noti fatti di cronaca relativi alla passata gestione delle proprie commesse.
In tale contesto, reputa quindi il Collegio, che, alla stregua di una interpretazione secondo buona fede del Protocollo di integrità, fosse esigibile una maggiore lealtà da parte dell’impresa aggiudicataria, anche in considerazione del fatto che il suo amministratore era stato per tempo autorizzato dall’A.G. penale ad avvalersi di un procuratore generale e a seguire i propri affari, ancorché astretto dalla misura cautelare.

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