Corte di Cassazione, sentenza n. 6283 del 14 marzo 2018
La giurisprudenza di legittimità, in tema di riscossione delle imposte sui redditi e di imposte sul valore aggiunto, ha ripetutamente affermato che l’art. 1, co. 5 bis, del d.l. n. 106 del 2005, convertito con modificazioni nella I. n. 156 del 2005, ha fissato i termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alla pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni; sostituendo il co. 2 dell’art. 36 del d.lgs. n. 46 del 1999 con l’art. 5-ter, ha peraltro stabilito che, per le somme che risultano dovute a seguito di attività di liquidazione delle dichiarazioni, la cartella di pagamento debba essere notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo per le dichiarazioni da presentarsi entro il 31 dicembre 2001; entro il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione per quelle presentate entro il 31 dicembre 2002, (Cass., Sez. 5, sent. n. 4745 del 2006; Cass. Sez. 5, sent. n. 24048 del 2011; Cass., Sez. 5, sent. n. 15661 del 2014).
La disciplina è stata introdotta, modificando la precedente, all’esito di un processo di riequilibrio del rapporto amministrazione-contribuente in ordine ai tempi di accertamento delle imposte e della relativa riscossione, più adeguato ai parametri costituzionali. Si è così dato seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2005, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, nella parte in cui non prevedeva un termine di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alle imposte liquidate ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, così di fatto lasciando il contribuente in una situazione di intollerabile incertezza sui tempi dell’azione esecutiva del fisco, per essere sottoposto, anche dopo l’accertamento e la iscrizione a ruolo di maggiori imposte, alla prescrizione decennale del potere di notifica della cartella esattoriale (cfr. Cass., Sez. 5, sent. n. 22223 del 2015). Peraltro la norma, di chiaro ed inequivoco valore transitorio, trova come tale applicazione non solo alle situazioni tributarie anteriori alla sua entrata in vigore, che siano pendenti presso l’ente impositore, ma anche a quelle ancora “sub iudice”, così garantendo non solo la tutela dell’interesse del contribuente, ma, attesa la sua sopravvenienza rispetto a rapporti pendenti, l’interesse dell’erario ad evitare termini decadenziali precedentemente insussistenti (cfr. Cass., Sez. 5, sent. n. 15661 del 2014)