Nel reato di accesso abusivo al sistema informatico, l’indirizzo IP può ben identificare l’utilizzatore, a meno che l’imputato non contesti, a sua volta, l’accesso abusivo alla propria rete

Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 20485 del 9 maggio 2018

L’atto di impugnazione pone il tema della attribuibilità – oltre il ragionevole dubbio – delle condotte illecite consumate mediante accesso ed uso della rete attraverso una postazione informatica; tema che involge profili di definizione dell’identità digitale, secondo specifiche tecniche di riferimento.
Osserva, sul punto, il Collegio come sia ormai patrimonio acquisito che la prova dell’utilizzazione di un sistema telematico possa essere ricondotta, mediante specifici accertamenti tecnici, ad una sorta di ‘mappatura genetica digitale’ che può consentire l’identificazione certa dell’operatore che abbia effettuato connessioni attraverso un dispositivo connesso alla rete attraverso l’indirizzo IP.
La sentenza impugnata evidenzia come gli elementi indiziari, complessivamente apprezzati, abbiano condotto alla attribuzione della illecita condotta all’imputato in quanto esclusivo usuario del personal computer collegato all’indirizzo IP, alla luce delle dichiarazioni dell’intestatario dell’utenza, congiunto convivente dell’imputato, e dello stesso imputato.
Né risulta – in un quadro di protezione debole dei sistemi violati evidenziato in sentenza – che l’imputato abbia, a sua volta, denunciato l’abusivo accesso all’indirizzo IP associato all’utenza domestica, o comprovato una potenza della banda router Wi-fi in suo uso tale da poter essere intercettata dall’esterno, nonostante la protezione della connessione attraverso apposita password.

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