Corte di Cassazione, sentenza n. 1161 del 9 maggio 2018
Una volta individuato, con riferimento all’ipotesi della violazione di direttive, il discrimine fra le due forme di responsabilità (responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare), “l’indissolubile intreccio” che fa prevalere, quanto alle forme procedimentali, quelle disciplinate dall’art. 21 del D.Lgs n. 165 del 2001, non si potrà ritenere sussistente la responsabilità dirigenziale per il solo fatto che sia stata contestata la violazione di direttive, perché ciò equivarrebbe all’espungere in via definitiva dall’ambito della responsabilità disciplinare del dirigente l’inadempimento consistito nella omessa ottemperanza agli ordini impartiti dal datore di lavoro.
La commistione fra le due forme di responsabilità deve, pertanto, ritenersi sussistente solo qualora la contestazione presenti aspetti che la rendano contemporaneamente sussumibile nell’una e nell’altra forma di responsabilità, il che si verifica nell’ipotesi in cui il procedimento venga avviato con riferimento ad una pluralità di addebiti, di cui alcuni riconducibili alla responsabilità disciplinare altri a quella dirigenziale.
19. In conformità al principio affermato da questa Corte nella recente sentenza n. 24905/2017, il Collegio ritiene che la responsabilità dirigenziale per “violazione di direttive”, proprio perché presuppone uno stretto collegamento con il raggiungimento dei risultati programmati, deve riferirsi a quelle direttive che siano strumentali al perseguimento dell’obiettivo assegnato al dirigente perché solo in tal caso la loro violazione può incidere negativamente sul risultato, in via anticipata rispetto alla verifica finale.
20. Correlativamente, non si può confondere il rispetto delle direttive con il corretto adempimento degli altri obblighi che discendono dal rapporto di lavoro con il dirigente (diligenza, perizia, lealtà, correttezza e buona fede tanto nel proprio diretto agire quanto nell’esercizio dei poteri di direzione e vigilanza sul personale sottoposto). La loro violazione, infatti, in sé e per sé considerata, mentre può essere ritenuta idonea a ledere il vincolo fiduciario che deve legare il dirigente all’Amministrazione, non rileva ai fini della responsabilità dirigenziale, nella quale ciò che conta è il mancato raggiungimento del risultato Diversamente da quanto opina il ricorrente, la Corte territoriale, dopo avere precisato che la distinzione tra la responsabilità disciplinare e quella dirigenziale si fonda sulla loro intrinseca diversità, correlata la prima alla violazione dei doveri che incombono sul dirigente e la seconda al mancato raggiungimento degli obiettivi ed alla grave inosservanza delle direttive impartite per realizzarli, ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte nelle sentenze richiamate nei punti da 13 a 20 di questa sentenza. Essa, precisato che il ricorrente non aveva formulato alcuna censura nei confronti della sentenza del Tribunale che aveva affermato la legittimità delle quattro verifiche periodiche con esito negativo poste a base del recesso, ha ritenuto, per tal via escludendo la sussistenza di “intreccio” delle due forme di responsabilità, che la ragione posta a base del licenziamento era correlata alla sola responsabilità dirigenziale e non a quella disciplinare. In particolare, la Corte territoriale ha rilevato che le valutazioni formulate in sede di verifiche periodiche attenevano al complessivo carente contributo del dirigente al raggiungimento degli standards qualitativi e quantitativi prefissati ed alla perdurante inosservanza delle direttive impartite per conseguirli. La Corte territoriale ha anche evidenziato che lo stesso dirigente nel ricorso introduttivo del giudizio aveva sostenuto che il mancato conseguimento dell’obiettivo della refertazione entro le 24 ore avrebbe potuto, al più, essere oggetto di valutazione sotto il profilo della responsabilità dirigenziale e non di quella disciplinare.