Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 8541 dep 27 febbraio 2019
In materia è già intervenuta pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, la quale ha chiarito che integra il delitto previsto dall’art. 615-ter, secondo comma, n. 1, cod. pen. (accesso abusivo al sistema informatico) la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l’accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso gli è attribuita (n. 41210 del 18/5/2017, rv 271061). Trattasi, all’evidenza, proprio della situazione ricorrente nella specie, dal momento che, indipendentemente dai limiti “formali” posti dall’amministratore, Pasquali sì introdusse nel sistema “Serpico” allo scopo di trarne elementi utili alla causa civile in corso, e, quindi, per ragioni ontologicamente diverse da quelle per cui il potere gli era stato conferito. E poiché lo scopo della norma è quello di inibire “ingressi abusivi” nel sistema informatico, non assume rilievo ciò che l’agente ebbe a carpire indebitamente (se notizie riservate o altrimenti recuperabili), ma l’ingresso stesso, non sorretto da ragioni collegate al servizio (pubblico o privato) svolto. La norma in questione configura, infatti, un reato di pericolo, che si concretizza ogniqualvolta l’ingresso abusivo riguardi un sistema informatico in cui sono contenute notizie riservate, indipendentemente dal tipo di notizia eventualmente appresa. E non c’è dubbio che il sistema “Serpico” contenga notizie della più varia natura, tra cui anche notizie e dati destinati a rimanere segreti o riservati.