Concorsi pubblici: il Consiglio di Stato risponde alle critiche più frequenti (anonimato degli elaborati, quote rosa, incompatibilità, ecc…)

Consiglio di Stato, sentenza n. 2775 del 29 aprile 2019

Va anzitutto sottolineato che il requisito di “esperto nelle materie oggetto di concorso”, necessario per essere nominato componente della commissione, non richiede il possesso di particolari titoli di studio, ma implica una valutazione discrezionale basata sulla considerazione della pregressa esperienza in relazione al contenuto delle prove previste.
E’ stato condivisibilmente affermato che la scelta di prevedere anche gli esperti è imposta da ragioni di prudenza ed efficienza dell’azione amministrativa che consigliano di prescindere se del caso – per evitare paralisi dell’attività in presenza di eventuali carenze di personale disponibile nelle categorie predeterminate in modo specifico (dirigenti e professori) – dal rigido riferimento a specifiche categorie professionali, menzionando una categoria generale di esperti compulsabili per fare i componenti, come clausola di sicurezza volta a conferire certezza applicativa alla disposizione così assicurando la più facile costituzione delle commissioni (cfr. Cons. Stato, VI, n. 5325/2006). In questa prospettiva, non è stato messo in discussione che i due commissari suindicati, entrambi dirigenti di ragioneria, avessero maturato, nell’ambito dell’Amministrazione dell’Interno ed in relazione ai particolari posti messi a concorso, una significativa e pluriennale esperienza nella direzione di uffici contabili.
La censura relativa al difetto di anonimato dei compiti scritti evidenzia circostanze che non sono idonee a far ritenere superata la soglia di rilevanza necessaria. L’utilizzo di penne con colori diversi, ovvero le cancellature sull’elaborato, per poter essere considerati segno di identificazione del candidato, devono risultare oggettivamente anomali ed estranei al contesto proprio dell’elaborato – altrimenti, qualsivoglia scritto aggiunto ovvero alterato, apposto nell’elaborato, dovrebbe ritenersi sufficiente ad identificarne l’autore. Per esperienza comune, il cambio di colore della penna è accadimento che può capitare di frequente, e gli sbarramenti di parti del testo trasversali o ad andamento sinusoidale sono i modi con cui si procede alle cancellature, in assenza di una diversa regola prefissata ed imposta nello svolgimento della prova. Non vi è pertanto il presupposto di fatto per poter applicare al concorso in esame il principio di rilevanza (presuntiva) dell’inosservanza da parte della commissione di concorso di cautele ed accorgimenti posti a garanzia dell’anonimato, affermato dalla Adunanza Plenaria n. 26/2013 – peraltro, in quel caso ritenuta viziante in una situazione ben diversa, posto che, dopo la conclusione della procedura, la commissione si era trovata in possesso di un elenco alfabetico in cui al codice (segreto) contrassegnante l’elaborato era inequivocabilmente associato il nome del candidato.
Il Collegio osserva che, ai sensi dell’art. 3 del d.P.C.M. 439/1994, almeno un terzo dei posti è riservato alle donne “salva motivata impossibilità” e “purché in possesso dei requisiti”, e che, come sottolineato dal TAR, in primo grado la difesa dell’Amministrazione aveva argomentato circa la impossibilità di nominare un componente femminile in possesso dei previsti requisiti di esperienza. Senza contare che l’inosservanza del previsto requisito di genere può inficiare il concorso qualora sia dimostrato, o quanto meno possa supporsi che la commissione abbia assunto una reale condotta discriminatoria (cfr. Cons. Stato, VI, n. 7962/2006, n. 2217/2012, n. 703/2015); ma, al riguardo, gli appellanti nulla hanno specificamente dedotto, e, comunque, l’attività della Commissione che ha condotto al non superamento delle prove scritte da parte degli appellanti, per quanto esposto, deve ritenersi svolta nel rispetto dell’anonimato.
La Commissione di concorso ha esplicitato i criteri di attribuzione del punteggio nel verbale in data 7 settembre 1999. Ciò premesso, è sufficiente richiamare la costante giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., da ultimo, Cons. Stato, IV, n. 4745/2018), secondo la quale il voto numerico, in mancanza di una contraria disposizione, esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della commissione di concorso, contenendo in sé stesso la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni, quale principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla commissione nell’ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato e la significatività delle espressioni numeriche del voto, sotto il profilo della sufficienza motivazionale in relazione alla prefissazione, da parte della stessa commissione esaminatrice, di criteri di massima di valutazione che soprassiedono all’attribuzione del voto, da cui desumere con evidenza, la graduazione e l’omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l’espressione della cifra del voto, con il solo limite della contraddizione manifesta tra specifici elementi di fatto obiettivi, i criteri di massima prestabiliti e la conseguente attribuzione del voto. Inoltre, ai fini della verifica di legittimità dei verbali di correzione e dei conseguenti giudizi non occorre l’apposizione di glosse, segni grafici o indicazioni di qualsivoglia tipo sugli elaborati in relazione a eventuali errori commessi. In definitiva, solo se mancano criteri di massima e precisi parametri di riferimento cui raccordare il punteggio assegnato, si può ritenere illegittima la valutazione dei titoli in forma numerica (così, da ultimo, la decisione dell’Adunanza plenaria n. 7/2017).
L’asserita mancata indicazione dell’ora di chiusura nel verbale costituisce mera irregolarità non viziante, posto che, come affermato dal TAR, occorre applicare il principio della strumentalità delle forme secondo cui il raggiungimento dello scopo segna il discrimine tra mera irregolarità ed invalidità ad effetto viziante: poiché nei verbali è analiticamente descritto l’intero iter procedimentale, la mancata indicazione dell’ora di chiusura del verbale, in sé, non comporta alcun pregiudizio delle operazioni che la commissione attesta aver svolto.
Quanto al difetto di collegialità della commissione in occasione della prova orale, è evidente la mancanza di interesse in capo agli appellanti, in quanto esclusi da detta prova. La non rinvenibilità, verificata in esito ad accesso, del verbale della Commissione di chiusura delle operazioni concorsuali e degli elaborati di ben sedici concorrenti, tra cui dieci vincitori e sei non vincitori, è certamente un fatto deprecabile (e meritevole di essere approfondito in altra sede), che tuttavia non può di per sé comportare l’invalidazione del concorso.
Infine, riguardo alla circostanza che alcuni dei vincitori avessero collaborato direttamente con i due commissari “interni”, deve rilevarsi come una simile evenienza sia praticamente inevitabile, tutte le volte che i concorrenti siano già in servizio presso l’Amministrazione che bandisce il concorso e i commissari siano dirigenti della stessa. Nei pubblici concorsi i componenti delle commissioni esaminatrici hanno l’obbligo di astenersi solo ed esclusivamente se ricorre una delle condizioni tassativamente previste dall’art. 51, c.p.c., senza che le cause di incompatibilità possano essere oggetto di estensione analogica (cfr. Cons. Stato, V, n. 3956/2014). L’incompatibilità tra esaminatore e concorrente implica quindi o l’esistenza di una comunanza di interessi economici o di vita – di intensità tale da far ingenerare il sospetto che il candidato sia giudicato non in base alle risultanze oggettive della procedura, ma in virtù della conoscenza personale con l’esaminatore (cfr. Cons. Stato, VI, n. 1057/2015) ed idonea a far insorgere un sospetto consistente di violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento (comunque inquadrabile nell’art. 51, comma 2, c.p.c.) – ovvero la sussistenza di un potenziale conflitto di interessi per l’esistenza di una causa pendente tra le parti, o la sussistenza di grave inimicizia tra di esse.
In definitiva, in presenza di candidati interni all’Amministrazione presso cui prestano servizio, ciò che deve orientare la condotta dei commissari ai fini del rispetto dell’obbligo di astensione, è l’esistenza di pregressi rapporti di collaborazione basata su scelte fiduciarie, ovvero di carattere personale; ma nel caso in esame non è argomentato che ciò si sia verificato.

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