Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Lombardia, sentenza n. 94 del 7 maggio 2019
Il novello comma 7-bis art. 53 del d.lgs. n.165 introdotto dalla l. n.190 del 2012, attribuisce oggi testualmente la giurisdizione in materia alla Corte dei conti, sebbene, come si chiarirà, in via non esclusiva ma concorrente con quella dell’a.g.o., mentre in passato tale soluzione era controversa.
Tale sopravvenienza normativa (art.7-bis cit.), ha infatti originato rilevante questione di riparto di giurisdizione in ordine a fattispecie di introiti pecuniari da parte di dipendenti in data anteriore alla novella stessa.
La sentenza 22 dicembre 2015, n. 25769 delle Sezioni unite della Cassazione, decidendo un caso nel quale i fatti si erano svolti in epoca antecedente la suindicata modifica del 2012, ha ritenuto che la sussistenza della giurisdizione contabile fosse da riconoscere ugualmente, perchè l’intervento del legislatore non aveva fatto altro che recepire un orientamento giurisprudenziale che era già nel medesimo senso (è stata richiamata, al riguardo, a titolo di precedente, l’ordinanza 2 novembre 2011, n. 22688).
Successivamente, però, l’ordinanza 28 settembre 2016, n. 19072 delle sezioni unite, ritornando sulla questione ed in relazione ad un caso pure avvenuto prima che la modifica del 2012 entrasse in vigore, ha ritenuto di dover compiere alcune precisazioni. In particolare, questo pronunciamento ha negato che “prima dell’introduzione dell’art. 7-bis potesse dirsi indiscutibile la giurisdizione contabile le volte in cui non emergesse o non fosse stato formalmente dedotto un profilo di danno (che non fosse quello all’immagine o comunque che si concretizzasse in pregiudizi ulteriori rispetto al mancato introito dei compensi corrisposti da terzi ai propri dipendenti)”. A tale conclusione l’ordinanza è pervenuta in base al rilievo per cui il semplice fatto della mancata ottemperanza dell’obbligo di denuncia della percezione dei compensi non determina, di per sè, un danno erariale; nella fattispecie allora all’esame della Corte di Cassazione, infatti, l’attività del dipendente “era stata svolta al di fuori dell’orario di ufficio, e quindi difficilmente avrebbe potuto determinare una sottrazione di energie dello stesso ai suoi compiti istituzionali”. Pertanto, in considerazione della natura “latamente sanzionatoria” della disposizione dell’art. 53, comma 7, cit., l’ordinanza n. 19072 del 2016 ha affermato che, prima della novella del 2012, la richiesta di restituzione, da parte dell’amministrazione di appartenenza (di regola con ordinanza ingiunzione poi opposta dal lavoratore), dei compensi ottenuti dal dipendente per attività non autorizzata non poteva di per sè “trasformare la richiesta di pagamento in una domanda risarcitoria, con presunzione oltretutto assoluta di danno e conseguente devoluzione alla giurisdizione contabile”. La conclusione del ragionamento, pertanto, è stata nel senso che la sussistenza della giurisdizione contabile, presupponendo un danno erariale, sussiste solo se all’inadempimento dell’obbligo di denuncia si accompagnino altri profili di danno (danno da sottrazione di energie lavorative o all’immagine, in realtà quest’ultimo di difficile ipotizzabilità ex art. 17 comma 30-ter del d.l. n. 78/2009).
Sulla stessa linea dell’ordinanza ora richiamata è anche la più recente giurisprudenza delle sezioni unite (Cass., sez.un., 19 gennaio 2018, n. 1415; id., sez.un., 9 marzo 2018 n.5789; id., sez.un., 4 aprile 2017 n.8688; id., sez. un., 28 maggio 2018, n. 13239) che, sempre su fattispecie anteriori alla novella del 2012 che ha introdotto l’art.53, co.7-bis, d.lgs. n.165, ha affermato che la controversia avente ad oggetto la domanda della P.A. nei confronti del proprio dipendente, diretta ad ottenere il versamento dei corrispettivi percepiti nello svolgimento di un incarico non autorizzato, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che l’amministrazione creditrice ha titolo per richiedere l’adempimento dell’obbligazione senza doversi rivolgere alla Procura della Corte dei conti, la quale sarà notiziata soltanto ove possa prospettarsi l’esistenza di danni; pertanto si è chiarito (Cass., sez. un., 19 gennaio 2018, n. 1415) che quando viene in gioco il pagamento, richiesto dalla P.A., dei corrispettivi percepiti a seguito di incarico non autorizzato nell’ambito di un rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, la controversia ricade nella giurisdizione del giudice ordinario, stante la natura sanzionatoria – conseguente alla violazione del dovere di fedeltà – dell’obbligo di pagamento previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, che prescinde dalla sussistenza di specifici ed ulteriori profili di danno richiesti per la giurisdizione del giudice contabile.
Quando tuttavia l’attività extralavorativa è svolta dal dipendente dopo l’entrata in vigore della novella del 2012 e i relativi introiti sono avvenuti sotto la vigenza del comma 7-bis citato, ad avviso di questa Sezione è pacifica la giurisdizione della Corte dei conti – dopo il mancato versamento spontaneo da parte del lavoratore alla propria amministrazione -, per il recupero del danno da mancato riversamento della somma. E la giurisdizione di questa Corte è oggi fissata dal legislatore in via generale e non solo, come aveva affermato la Cassazione nel previgente regime, per profili di danno da immagine o da sottrazione di energie lavorative.
In altre parole, dopo l’entrata in vigore dell’art.53, co.7-bis, d.lgs. n.165 del 2001 (avvenuta nel 2012), la Corte dei conti ha giurisdizione piena su qualsiasi danno arrecato dal dipendente che abbia svolto incarichi esterni vietati o non autorizzati e tra queste voci di danno, in primis, quella afferente il riversamento della somma al proprio datore in ossequio all’art.53, co.7, d.lgs. n.165, di cui la Cassazione dubitava nel pregresso regime.
Semmai è da porsi il problema, a fronte della attuale pacifica giurisdizione di questa Corte su detto omesso riversamento di somme al datore scolpita dall’art.53, co.7-bis cit., se possa residuare, come in passato, una concorrente azione civile del datore, con ordinanza-ingiunzione, opponibile dal lavoratore innanzi all’a.g.o.
Osserva incidentalmente sul punto questa Sezione che la possibilità di un “doppio binario” civile e giuscontabile è in generale ammesso sia dalla Corte costituzionale (C.cost. 7 luglio 1988 n.773) che dalla Cassazione (ex pluribus Cass., sez. un., 4 gennaio 2012, n. 11, id., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6581, id., sez. un., 22 dicembre 2009, n. 27092; id., 12 maggio 2009, n. 10856), secondo cui l’utilizzo di tali concorrenti procedimenti giurisdizionali, così come qualsiasi iniziativa diretta, transattiva, recuperatoria o risarcitoria promossa dall’ente danneggiato, non comporta effetti preclusivi (ma, al limite, decurtanti) dell’azione obbligatoria per danno erariale davanti al giudice contabile, salvo che intervenga sentenza definitiva comportante, in sede civile, l’integrale recupero del danno cagionato. La Cassazione ha più volte dunque affermato che “La giurisdizione civile e quella penale, da un lato, e la giurisdizione contabile, dall’altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale e l’eventuale interferenza che può determinarsi tra i relativi giudizi pone esclusivamente un problema di proponibilità dell’azione di responsabilità da far valere davanti alla Corte dei conti, senza dar luogo ad una questione di giurisdizione” trattandosi di interferenza tra giudizi e non tra giurisdizioni.
Tuttavia, ad avviso di questo Collegio, tale tradizionale “doppio binario” andrebbe rimeditato dalla Consulta e dalla Cassazione, in quanto la (ingiustificata per il dipendente convenuto) diversità dei regimi sostanziali e processuali tra illecito civile e contabile e i principi costituzionali sulla esclusività della giurisdizione della Corte dei Conti in materia di danni alle casse pubbliche, dovrebbe portare al superamento del regime della pluralità di azioni (civile e contabile) fondato sul concorso di norme, rivendicando « l’esclusività » della responsabilità amministrativa, quale sistema chiuso, rispetto a quella civile. In via alternativa, anche a voler lasciar fermo il suddetto “doppio binario”, il regime sostanziale applicabile al dipendente pubblico dovrebbe ragionevolmente essere il medesimo, sia innanzi all’a.g.o. che innanzi alla Corte dei conti, applicando il più favorevole trattamento della legge 14 gennaio 1994 n.20 rispetto al più rigoroso regime civilistico, essendo intollerabile ed irragionevole che il regime sostanziale muti, a fronte dei medesimi fatti storici posti in essere dal dipendente, a seconda del giudice che lo giudichi.
Difatti, le principali differenze tra l’azione civile e quella contabile attengono: a) al meccanismo di attivazione delle due magistrature (a domanda e, quindi, a discrezione della p.a. l’azione civile; d’ufficio e obbligatoriamente l’azione contabile); b) al regime della intrasmissibilità agli eredi della responsabilità risarcitoria (operante solo in sede contabile); c) alla sussistenza o meno di concorrenti azioni a tutela del credito (le azioni revocatorie, surrogatorie e di simulazione, sino all’adozione dell’art. 1, comma 174, l. 23 dicembre 2005 n. 266 (oggi art. 73, d.lgs. n. 174 del 2016), non erano esperibili in sede contabile dall’attore P.M., ma solo in sede civile dal creditore-p.a.); d) al regime probatorio (in sede civile vi è, di fatto, un vasto utilizzo della prova testimoniale, di fatto inutilizzata in sede giuscontabile); e) al regime prescrizionale (decennale per l’illecito contrattuale innanzi all’a.g.o., quinquennale innanzi alla Corte dei conti); f) all’utilizzo della riduzione dell’addebito da parte del giudice (meccanismo inesistente innanzi all’a.g.o.); g) all’applicabilità dell’art. 1225 c.c. (« Se l’inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione »), non operante in sede contabile; h) al diverso regime della responsabilità degli organi collegiali (innanzi al g.o. opera l’irresponsabilità dei soli componenti « che abbiano fatto constatare nel verbale il proprio dissenso », art. 24, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; innanzi alla Corte dei conti rispondono solo coloro che « hanno espresso voto favorevole », art. 1, comma 1-ter, l. n. 20 del 1994); i) al triplice grado di giudizio che caratterizza il giudizio civile, a fronte del duplice grado in sede contabile.
Tale discrasia tra regimi sostanziali a seconda del giudice che si attivi nei confronti del dipendente che abbia cagionato (qualsiasi) danno alla P.A., appare dunque palesemente irragionevole e la giurisprudenza costituzionale e di legittimità dovrebbero auspicabilmente prenderne atto e determinarsi conseguentemente allorquando la questione verrà loro adeguatamente posta.