Corte di Cassazione, sentenza n. 26778 del 21 ottobre 2019
Una banca aveva apoditticamente giustificato la necessità di un consenso obbligatorio del cliente al rilascio dell’autorizzazione al trattamento dei dati sensibili con la propria “policy” aziendale, ai fini di una imprecisata completa e migliore gestione dei rapporti con la clientela, precisando, anche secondo la ricostruzione dei giudici di merito, di ritenere necessario acquisire i dati sensibili, non nel senso “che la banca necessiti di avere a disposizione i dati c.d. sensibili per poter operare, ma nel senso che potendo tali dati venire a conoscenza dell’istituto di Credito, in via di cautela la banca vuole ottenere il consenso al loro trattamento” (pag. 6 sentenza impugnata).
Tale affermazione non ha una giustificazione plausibile. La stessa banca ha dato atto – e non poteva fare diversamente in considerazione della precisa nozione di dati sensibili, evincibile dell’art. 4 comma 1° lett. d) d.lgs n. 196/2003 – di non aver bisogno di tali dati per operare. E’ quindi evidente che il fondare, a scopo cautelativo, la richiesta obbligatoria al cliente di rilascio dell’autorizzazione al trattamento dei dati sensibili sulla eventuale (alquanto remota) possibilità che la Banca ne venga a conoscenza nel corso della sua attività assume la connotazione di un mero pretesto.
La Banca ha dunque richiesto obbligatoriamente – prospettando, diversamente, l’impossibilità di poter dar corso alle operazioni ed ai servizi richiesti – il consenso al trattamento di dati sensibili non pertinenti, non indispensabili (tali sono quelli relativi alle origine razziale, etnica del cliente, alla sua salute, alla vita sessuale, etc) eccedenti in modo evidente le finalità per cui tali dati sono trattati e raccolti.
In conclusione, la clausola con cui la banca ha subordinato il dar corso alle operazioni richieste dal cliente al consenso al trattamento dei dati sensibili è affetta da nullità in quanto contraria a norme imperative, a norma dell’art. 1418 cod. civ.. Ne consegue che la condotta con cui lo stesso istituto di credito ha successivamente provveduto al “blocco” del conto corrente e del deposito titoli, proprio perché trova il proprio titolo in una clausola nulla dalla stessa inserita, non lo esonera da responsabilità per inadempimento contrattuale.